Un singolo prodotto a distanza, durante la quarantena, fra le mura di un B&B. Una canzone che avrebbe vinto a mani basse Sanremo. Proprio come “C’este la vie”, lo scorso anno, pubblicata a poco meno di un mese dal Festival dei fiori. Eppure ad Achille Lauro non piace vincere. Non gli interessa. Non ne ha bisogno. Perché lo spettacolo, quello vero, deve stupire e lasciare a bocca aperta, a prescindere da qualsiasi tipo di premio
Achille Lauro: 16 marzo la sliding door di Sanremo
Otto febbraio 2020. Teatro Ariston. Due di notte. Viene annunciato il terzo posto dei “Pinguini Tattici Nucleari”. E dopo qualche minuto anche il vincitore: Achille Lauro con “16 marzo” trionfa su Diodato e la sua “Fai rumore”.
La storia sarebbe andata così. Eppure è un “what if”, una “sliding door” che non si è aperta. Un ingranaggio ha deciso di stopparla e deviarne il corso. Anzi ha deciso di rompere tutto il meccanismo del Festival. E quell’ingranaggio storto, contorto, ricco di denti aguzzi e incline agli incastri impossibili ha un nome e cento identità: Achille Lauro.
Abbiamo già raccontato ampiamente su Pink Noises le metamorfosi del cantante a Sanremo. E spiegato come tutti i cambi di abito di Lauro, fossero in realtà un passo per trasformare e far evolvere un “golem” come il Festival. Un tentativo artistico e concettuale. Prima di lui nessuno aveva mai avuto il coraggio, la sfrontatezza e il talento di desacralizzare il tempio della musica italiana. Una preghiera che qualcuno ha forzatamente scambiato per bestemmia che è piombata nelle case degli italiani aprendole all’opportunità di pensare ad “un altro festival”.
Prima le critiche, poi gli elogi sussurrati ed infine gli applausi. Ma la vittoria no. Quella no. Il primo posto a Sanremo avrebbe quasi vanificato la capacità dissacratoria dell’arte visiva e musicale di Lauro. Un win-win che avrebbe favorito la tesi di chi poteva affermare “beh i cambi d’abito sono stati fatti per vincere il Festival”.
E sappiamo come è andata. Una canzone come “Me ne frego” non avrebbe mai potuto vincere il Festival, proprio come “Rolls Royce” un anno prima. Non avrebbe potuto. Non avrebbe voluto. Achille Lauro non ha perso Sanremo, non lo ha vinto. È stato Sanremo.
16 marzo: la canzone pop perfetta
Achille Lauro nei suoi due Sanremo si è scoperto e nascosto, denudato e ammantato di una coperta. Ha giocato barando due volte, vincendo due volte. Ha mostrato sotto i riflettori un lato di sé, quello visual, lasciando nel cassetto, sepolto da piume, strass e gioielli, il suo lato musicale. Un dottor Jekyll che soltanto dopo qualche mese ha ucciso se stesso a favore del proprio Mr Hyde. E il “lato oscuro” di Achille Lauro sono due canzoni: “C’est la vie” e “16 marzo” con le quali, con ogni probabilità, avrebbe vinto entrambe le edizioni del Festival.
“16 marzo”, infatti, è una canzone pop perfetta, rara nel nostro panorama musicale, anche per le modalità di produzione. La nascita del brano è come un’ennesima incarnazione del cantante. Al momento del lockdown Achille Lauro aveva appena iniziato a lavorare al pezzo in un B&B. L’isolamento lo ha costretto ad allestire uno studio casalingo e registare a distanza con musicisti bloccati nelle proprie abitazioni in ogni parte del mondo.
Il risultato è una canzone che fin dal titolo, con l’uso di una data, rievoca i classici della canzone italiana. Dal “29 settembre” di Lucio Battisti al 4/3/1943 di Dalla. Per arrivare, non crediamo a caso, a quegli Smashing Pumpkins e quella “1979” spesso indicata come riferimento musicale troppo esplicito di “Me ne frego”.
Il testo, una lettera dolente e malinconica, rievoca il volto più intimista di Lauro già visto in “La bella e la bestia” e “C’est la vie”.
La novità, però, non è una sola. Achille Lauro ci ha fregati un’altra volta. E auspicabilmente continuerà a farlo ancora. Quando tutti si aspettavano una deriva dance ’80 dopo “Me ne frego”, il risultato è stato il brano più splendidamente pop del suo repertorio. Senza nessun compromesso. Senza screziature elettroniche.
“Cari amici, sono nuovamente qui a scrivervi, in un periodo in cui scrivere è uno dei pochi modi che abbiamo di tenere vivo il contatto umano. Oggi vi parlo di un sentimento comune a tutti […] Nel mese dei nuovi amori, il mese in cui ognuno torna da chi non lo starà cercando più. È una tempesta dentro me. È ciclica. Perdere tutto per inseguire un’illusione. Oggi sono senza costume, senza trucco, innamorato di un ricordo”
Nudo ed innamorato. Senza orpelli. Alla ricerca di una nuova illusione. Illudendosi ancora. Illudendoci ancora.
Sì, ci son cascato di nuovo.