“Aliena, trafitta, io so come ti senti”. Poche parole di comprensione e salvezza, di umanità lacerata e lacerante. Una frase che trafigge centinaia di schermi ed inaugura la straordinaria performance di Achille Lauro sul palco di Sanremo. Il suo “primo quadro” dall’Ariston è un angelo glam insanguinato, che sussurra al termine di “Solo noi”: “esistere è essere, essere è diritto di ognuno”.
Achille Lauro porta la “salvezza aliena” a Sanremo
Decadenza e rinascita, trucco e lacrime, veli e unghie che li squarciano, solitudini mascherate e costumi a brandelli. Piume rosa screziate dal sudore e dal sangue, un cuore metallico che segue il movimento delle mani. Una “lettera del mondo all’umanità” portata sul palco dell’Ariston nel primo “quadro musicale” di Achille Lauro. La decadenza di un genere nato per coprire la decadenza con glitter metallici e giubbotti iridescenti. Il glam rock diventato, decenni dopo, corpo di un angelo malato e trafitto, immondo nel suo essere presenza viva nel mondo. Osceno perché diventa scena e proscenio. Un angelo strappato dal cappio e diventato umanamente immortale.
“Non dimenticare chi eri” sussurra Achille Lauro. Non dimenticare di essere stato arido ed asciutto, impassibile. Solo. “Tu sei questo ed io sarò lì per guardarti amare ancora”. L’attesa di una promessa che diventa promessa di un’attesa. Alla ricerca di un’identità che non è stata mai perduta, semplicemente perché non è mai stata. Si è trasformata in un volto coperto dal trucco, devastato da una lacrima che lo rovina. “Sessualmente tutto, genericamente niente”. Ancora una volta, come il precedente Sanremo, l’esibizione di Lauro è una contraddizione che diventa condizione esistenziale. In lui si incarnano peccato e peccatore, ma anche redenzione e rivalsa. Un artista che si spoglia, anche se è ricoperto da un pesantissimo vestito. Che decide di esistere, perché esistere è essere. Anche in un mondo senza gravità, da attraversare con un manto di ali rosa.