Achille Lauro: l’uomo che cambia

“Fai di me quel che vuoi fallo davvero”. E Achille Lauro ha letteralmente fatto di Sanremo quello che voleva. L’ha mangiato e rigurgitato. Ha scandalizzato i benpensanti e gli esperti di musica alta, ha fatto dimenticare il titolo (infelice) della canzone, ha preso a pugni accenti e grammatica, è diventato Bowie quando tutti gli dicevano che copiava Bowie, ha fatto pronosticare il “suicidio perfetto” con la cover di “Gli uomini non cambiano” e, ancora una volta, ha dimostrato la sua alterità. Il suo essere altro da tutto. Persino da Sanremo.

Achille Lauro: gli uomini cambiano

Un suicidio. Senza nessuna possibilità di replica, neanche dai fans più oltranzisti e dai giornalisti più innamorati (fra i quali, ovviamente, inseriamo pure noi).

Il duetto con Annalisa su “Gli uomini non cambiano” era il varco che tutti aspettavano per essere finalmente legittimati, per appuntarsi, la medaglia simbolica del “Io lo sapevo”. E un varco è stato aperto, ma completamente diverso da quello che molti auspicavano.

Achille Lauro ha presentato il suo alter ego. Altro da sé che si trasforma in quello che tutti gli rinfacciano. Diventa finalmente il David di Ziggy, ma resta il Lauro di se stesso, citando anche (e ci scommettiamo volontariamente) le maschere di Anna Oxa e i costumi dell’Enigmista di Batman (quale altro cattivo sennò?).

Achille Lauro

Ma va anche oltre. Apre una porta su un altro sé, quello che protegge e non consuma, quello che concede solo a chi lo conosce bene. Un alter ego che lo porta a cantare Mia Martini in sottrazione, al femminile. A diventare un(a) interprete sgangherata.

Perché “gli uomini non cambiano”, forse per mancanza di coraggio, forse per l’urlante machismo sociale, ma Achille ha scelto di cambiare. Per l’ennesima volta. Diventando quello che tutti gli chiedevano per massacrarlo, eppure sfuggendo ancora. Come una bussola che non sa che è tenuta ad indicare sempre il nord e tradisce una libertà impossibile. E Achille ha frantumato ogni vademecum della “navigazione musicale” cantando e facendolo bene. Non interpretando più il sé percepito da tutti, ma raccontando la sua alterità di essere umano. Alter ego o meglio ego alter.

L’alterità e il confine

Il passo indietro rispetto ad Annalisa è quello su cui hanno puntato tutti, che ha destato più l’attenzione di chi ha aperto (per un attimo) gli occhi sull’alterità di Achille. Eppure non è l’elemento visivamente più forte.

Quella sedia, che separa e divide, traccia una linea che rappresenta ben più che un passo indietro. È un confine. Che Achille rispetta, non varca. Quella sedia racconta la storia della canzone. E solo quando Annalisa si alza, Achille si avvicina. Si appoggia con il piede. Pronto a dimostrare di non essere cambiato per cambiare ancora. E ancora. Il volto di Achille, in secondo piano, viene sfocato dalla regia. Lui non resta soltanto un passo indietro, ma cede anche le sue sembianze, diventa una rifrazione ottica e vocale, come un’immagine o un suono, percepiti nell’inconscio. Un cortocircuito mentale, un’idiosincrasia. Una contraddizione. Con tutto il contorno, con tutto il rumore di fondo che lo vuole “frastuono”, per ritrovarlo come parte di una melodia. Quella parte sommessa, sullo sfondo. Che “cambia”, che diventa esibizione dell’anima, prima ancora che del corpo.

Achille Lauro

Nessun Bowie, solo se stesso

Achille Lauro non è e non aspira ad essere il David Bowie italiano, nonostante il “trucco” del duetto con Annalisa, perché è troppo intelligente per non capire come questo sia impossibile. Achille Lauro non crea i “carrozzoni” di Renato Zero, non porta con sé uno show. È lui stesso lo show.

Achille Lauro foto ANSA/ETTORE FERRARI

Come la prima sera. Una tunica che più che ricordare San Francesco rievoca Giordano Bruno (vi ricordate la fine che ha fatto?), una canzone che dice tutto senza dire nulla e che contiene tutti i topoi di Lauro: strafottenza, noncuranza, accenti casuali, citazioni bibliche, chiusura malinconica. Ma non conta neanche questo. Ecco il punto. Achille Lauro è molto più intelligente del pubblico occasionale che, da due anni a questa parte, lo ascolta in un contesto come Sanremo.

Il pubblico sanremese tout-court, che non ha avuto occasione di seguirlo sui social, non conosce lo storytelling creato da Lauro su questa canzone. I riferimenti francescani, la citazione agli affreschi nella Basilica Superiore di Assisi, l’hype incontrollato. No, il pubblico generalista ha visto solo un uomo che si è spogliato e che, secondo il gusto comune, ha stonato sul palco. Eppure…dalle sue esibizioni non si parla di altro. Achille Lauro con un solo gesto ha annientato Sanremo, lo ha spogliato del nulla cosmico nel quale è stata immersa gran parte della serata. Ha chiuso le mascelle della bestia televisiva (un lupo? un agnello? un vecchio elefante?) e l’ha sbranata. È diventato lo show surclassando lo show, ha trasformato lo spettacolo in un’appendice di sé.

E i contenuti?

I più raffinati per attaccarlo hanno bypassato il look e puntato sul testo e la sua vocalità. Come se Sanremo fosse la Treccani della musica italiana per quanto riguarda parole e canzoni. I contenuti? Ancora una volta sono il suo corpo, il suo essere, il suo alter ego che diventano il veicolo della canzone e non il contrario. Come fa capire anche dal suo profilo Instagram. Quattro carte da cartomanzia. Due volti svelati, due ancora da svelare.

“Cinquantenni disgustosi, maschi omofobi. Ho avuto a che fare per anni con ‘sta gente volgare per via dei miei giri. Sono cresciuto con ‘sto schifo. Anche gli ambienti trap mi suscitano un certo disagio: l’aria densa di finto testosterone, il linguaggio tribale costruito, anaffettivo nei confronti del femminile e in generale l’immagine di donna oggetto con cui sono cresciuto”

E ancora, a proposito di genere: “Sono allergico ai modi maschili, ignoranti con cui sono cresciuto. Allora indossare capi di abbigliamento femminili, oltre che il trucco, la confusione di generi è il mio modo di dissentire e ribadire il mio anarchismo, di rifiutare le convenzioni da cui poi si genera discriminazione e violenza. Sono fatto così mi metto quel che voglio e mi piace: la pelliccia, la pochette, gli occhiali glitterati sono da femmina? Allora sono una femmina. Tutto qui? Io voglio essere mortalmente contagiato dalla femminilità, che per me significa delicatezza, eleganza, candore. Ogni tanto qualcuno mi dice: ma che ti è successo? Io rispondo che sono diventato una signorina”.

Achille Lauro

E, infine, c’è chi dirà che queste parole sono “paracule”, un paravento da indossare per coprirsi dal nulla cosmico del contenuto musicale. No, queste non fanno parte dello show. Sono i veri vestiti di Achille, quelli di cui si spoglia per farvi vedere un corpo nudo, per farvelo colpire, come un novello San Sebastiano. Per farvi restare in superficie. Per, restando in tema religioso, vedere l’abito e non il monaco. E anche questo è il bello. Achille Lauro non vuole convincere nessuno, anzi per lui sarebbe più facile fare tutto con il pilota automatico. Eppure…se ne frega dei vostri Bowie, dei vostri Zero, delle vostre battute sulla pancia da birra. Il suo “fai di me quel che vuoi” lo testimonia. Ma è lui il primo a fare di se stesso quello che vuole. Come sempre.

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