In Her Bones Eugenia Post Meridiem
In her bones copertina disco Eugenia Post Meridiem

Eugenia Post Meridiem: in her bones

In her bones è il primo disco di Eugenia Post Meridiem, un album ricco di sonorità sospese nello spazio tra gli anni ’60 e un tempo futuro. Un progetto che affonda, fino ad arrivare alle sue stesse ossa

Vivere per nutrire l’anima

Eugenia Post Meridiem nasce dall’incontro casuale tra Eugenia e Matteo, bassista, nei i locali di Genova in cui lei si esibiva durante l’estate 2017. La loro collaborazione, appena iniziata, si interrompe però dopo pochi mesi.

Eugenia, come ogni artista che si rispetti, ha bisogno di vivere per tradurre in musica le proprie esperienze, per nutrire l’ispirazione di nuove emozioni. Per questo parte per un lungo viaggio tra Parigi e Lisbona.

E’ tra i vicoli dell’Alfama, dove si esibisce e vive da busker, che inspessisce la propria anima artistica. Vive esperienze che la fanno maturare come donna e come artista ben oltre la sua giovanissima età.

Rientrata in Italia ripropone la sua nuova visione a Matteo e i due decidono di dare corpo al progetto coinvolgendo nella band Giovanni con le sue chitarre e le tastiere e Matteo alla batteria.

Il diverso background musicale dei 4, che spaziano dall’elettronica al jazz passando per grunge e shoegaze, rende le 9 tracce del disco un esperimento circolare, un manifesto di conversione, di ascolto, di suoni che coabitano e di armonie mai uniformi.

Eugenia Post Meridiem band

La musica nelle ossa

In her bones è venato da una sorta di tensione, un equilibrio sottile pronto a rompersi su cui si muove Eugenia con la sua voce. Il cantato sembra imbrigliare gli strumenti, purosangue pronti a lanciarsi al galoppo ognuno per la propria strada.

You know, the streets I’ve run, are plenty of faces I’ve lost. In Low Tide Eugenia celebra i suoi ricordi portoghesi che tanto le hanno regalato dal punto di vista creativo.

Blue noon come una macchina del tempo riporta agli anni ’60, ai Jefferson Airplane della summer of love. Il vibrato di Eugenia sembra quello di Grace Slick ed entra dentro come mille schegge di ghiaccio. Dalla stessa epoca sembra venire Midday sun. La sua psichedelia celebra il tramonto che concilia i ricordi e li vela di malinconia.

Mad hatter con la linea basso di sapore jazzistico, l’organo psych ed i suoi continui cambi di ritmo racconta in musica lo sgangherato incontro con il cappellaio matto. L’unico depositario del destino del mondo.

Nella suite di Anjos Eugenia allenta le briglie di una band pronta a scatenarsi lungo traiettorie diverse.
Le stesse percorse in Anthill con il suo ritmo scanzonato e in Seabed e le sue tentazioni noise.

In her bones è un disco sorprendente. Sorprende perché è composto da una band giovanissima, che ciononostante sa creare atmosfere mature, crepuscolari, post meridiane. Sorprende ancor di più per il suo sapore internazionale e le sue sonorità poco frequentate da gruppi italiani.

Alla title track in chiusura Eugenia sembra affidare le ceneri di una fase creativa che appare autoconclusiva.

Ceneri da cui risorgere con un nuovo modo di scrivere e comporre, nuove sperimentazioni e nuove fluide influenze da rendere musica.

Per recidere ogni legame e legaccio e lanciarsi, definitivamente, a briglia sciolta su territori inesplorati.

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