Giorgieness: Playlist e Percorsi

Giorgieness, una delle nostre cantautrici più profonde e sincere, ha deciso di parlarci di playlist, percorsi, scelte, delusioni, musica, amore e fatica. Il suo editoriale ci permette di far luce sul mondo della discografia italiana, sull’importanza di una parola come “scelta” e sui meccanismi che, invece di favorire, rischiano di annegare il talento

Enlarge your music?

In principio fu “enlarge your penis”. E già dall’approssimazione di questa frase avremmo dovuto capire che pagare qualcuno su internet per accrescere le nostre capacità più intime non era l’idea  migliore che ci potesse venire. Non conosco nessuno che ci sia cascato ma sono certa che da qualche parte, qualcuno, in segreto, ha donato i suoi soldi alla causa.

Piaga di ogni musicista moderno, che deve necessariamente usare i social perché dei dischi e basta non ne parla più nessuno, c’è la sua versione più moderna: il messaggio che ti promette di accrescere i tuoi ascolti con pubblico reale a targettizzato.  In sostanza “paga me che pago altri per ascoltarti” o peggio “paga me che ho un casino di bot che seguono le mie playlist e le ascoltano passivamente”. Il buon vecchio trucco del far comprare i cd alla famiglia, compreso lo zio di terzo grado che vive nelle Filippine, aveva comunque risultati migliori, a mio avviso. 

Giorgieness

Ma andiamo nel dettaglio e facciamo un passo indietro. 

Quando ho cominciato a fare musica ti ascoltavano gli amici e ai concerti aspettavano facessi proprio quella canzone una volta alla settimana per sentirla. Non ho avuto esperienza diretta con Myspace, lo gestiva un’altra ragazza della band, ma era già un punto poter registrare nello scantinato di un amico e poter caricare dei bruttissimi mp3 sulla piattaforma. 

E alle canzoni ci lavoravi per tantissimo tempo in saletta, le coccolavi per mesi, forse anni, tanto che arrivavi a registrarle quando ne avevi pronte molte altre perché quelle tre ore di sottoscala le pagavi più di quanto potessi permetterti. 50 euro a canzone. Senza smartphone comunque l’ascolto era limitato al computer fisso, il che rendeva indispensabile comprare quel demo per poterlo portare in giro sul tuo iPod. 

Fast music for fast people

In tutto questo io ho 28 anni, non 50 come sembra, semplicemente come quasi tutti ho iniziato presto. 

Il fatto che oggi sia più semplice è sicuramente un vantaggio, la tecnologia va avanti e chi sono io per dire che non sia un bene?

Poter produrre e pubblicare musica quasi da casa ha creato anche una saturazione del settore, c’è tantissima musica e il pubblico ha il bisogno di essere indirizzato perché non siamo tutti feticisti della materia e per molti è il sottofondo e non il punto dell’esperienza. Non voglio parlare in modo borioso di quanto non ci sia bisogno – a mio avviso – di diecimila canzoni tutte uguali con nomi di cocktail e feste in spiaggia. Se hanno un pubblico evidentemente il limite è mio, ma è come il discorso della fast fashion, nata per durare quel che deve durare ed essere sostituita senza lasciare memoria di sé. Come certi capi anni 80. 

Giorgieness – Foto di Giulia Bartolini

Del resto si fanno canzoni per le persone non per gli addetti ai lavori; è a loro che vuoi arrivare, non solo sapere se quel pedalino che hai usato al minuto 1.34 ha fatto venire i brividi al fonico. 

Ciò detto, nel marasma, esistono delle playlist editoriali sulla più famosa piattaforma streaming che in qualche modo calmierano e ridistribuiscono gli ascolti secondo coscienza, dando spazio a piccoli e grandi progetti settimanalmente, mensilmente, etc. La cosa, secondo me, più interessante restano le playlist che si autogenerano per ogni ascoltatore, quelle sono il futuro, secondo me, della grandissima offerta.

Fin qui tutto regolare direi, lo hanno fatto le radio e i dj prima, scegliendo secondo il gusto personale la programmazione, oggi lo fanno gli editor. Gratis. 

Solo che siamo tanti davvero e si sa che dove c’è mercato e competizione, arriva anche qualche furbetto che trova il modo di approfittarsene. 

“Il folle investimento nella musica”

Quindi cosa ci offrono queste playlist per aumentare la misura del nostro figurato pene artistico? Ascolti. 

Perché ci piace fare i post in cui diciamo “grazie ragazzi siete fantastici, 80k streams in tre mesi!”.

Perché sono utili a chi arriva sul nostro canale per capire se vale la pena far partire un pezzo o meno. Serve ai brand per sapere quanta risonanza abbiamo e proporci collaborazioni. Serve alle case discografiche per proporci contratti. Ai festival per valutare il nostro cachet se siamo tra i “puristi” che ancora fanno concerti e non solo firma copie.

Serve a noi, per avere la misura di quanto il folle investimento nella musica ci stia portando lontano. 

Solo che se questi ascolti li paghiamo, come facciamo a rendercene conto? E sto parlando a te, musicista emergente che ha buttato fuori il primo ep

Certo, pensi che pagare perché qualcuno ti ascolti possa solo portarti a numeri più alti e quindi maggiori interazioni e scenari più ampi ma non è esattamente questo che succede. 

Esattamente come gli influencers con migliaia di followers inattivi, non succederà un bel niente e sarai ancora più confuso e triste. Confuso perché ti dirai “ma come, il mio singolo è arrivato a così tante persone e poi non cambia nulla?”. Sì, esatto, perché l’ha ascoltato un computer e non una persona. E pure se fosse stata una persona, ha solo sentito un pezzo dopo l’altro, senza prestare attenzione. 

I numeri, soprattutto all’inizio, devono servire come metro non come traguardo. Perché se hai diecimila ascolti e cinquanta persone a concerto in qualunque punto d’Italia tu ti trovi a suonare, in realtà sta andando benissimo. 

Giorgieness Live per Pink Noises

Penso che queste cose abbiano presa perché la premessa con la quale si fa musica è spesso sbagliata. Mi capita spesso di parlare con ragazzi che hanno una canzone e su quella puntano tutto, magari aiutati da etichette più o meno oneste, che su quella canzone investono soldi e spendono tempo in promozione. Ma poi? Se la canzone funziona cosa succede? Ne esce un’altra? Ci sarà un disco? Un tour? C’è un messaggio dietro? Hai idea di cosa diavolo vuoi comunicare con la tua musica? Perché queste cose dipendono solo da te, nessuno può importele o confezionarle. Nessuno può neanche pagarle sulla lunga distanza. Devi averle e basta. 

Volevano tutti essere i Verdena

E un segreto bruttissimo è che ognuno ha la sua strada e camminare sul tracciato di altri funziona solo il giorno zero, perché non esiste nell’arte qualcosa che possa durare se l’ha già fatta un altro. Quando ero ragazzina io tutti volevano fare i Verdena e sai com’è finita? I Verdena ci sono ancora, gli altri non pervenuti. 

Non so quanto sia auspicabile fare successo con una canzone per poi, il mese dopo, lasciare spazio a qualcuno con una nuova bella canzone. E ritrovarti solo. 

Come dicevo tempo fa in un post su Instagram, ho avuto la fortuna di lavorare per tantissimi anni senza dovermi preoccupare della mia immagine e dei numeri, proprio quando dovevo crescere e capire chi fossi e cosa volessi dire, in quel tempo di sale prove e scantinati di cui parlavo sopra. Questo mi ha permesso di mettere la musica al centro di tutto.

Hollywoo – Regia Giulia Bartolini

Se tra dieci anni ti vedi ancora lì che scrivi, arrangi, maledici e attacchi cavi, allora la premessa dev’è essere diversa. C’è una sana presunzione in tutti noi che facciamo questo lavoro ed è quella secondo la quale i cavoli nostri sono così importanti da voler essere ascoltati da altri. Che se ci pensi è una follia, noi raccontiamo la nostra vita ma tutti ne hanno una. Cos’ha la nostra di speciale? Dimmelo tu. 

C’è anche una ferocissima voglia di farcela, anche quella è normale, altrimenti saresti restato in cameretta. 

Bisogna però passare del tempo ad interrogarsi su cosa voglia dire farcela. È un concetto che ha tantissimi aspetti, dall’edonistico al pratico, dall’economico al personalissimo. E ci stanno tutti, in egual misura. Solo che per fare il medico studi una vita, ma ti assumerebbe qualcuno per operare a cuore aperto il giorno dopo che sei uscito dall’università? Non credo. 

L’irripetibilità dell’esperienza

In modo diverso, perché non provare a fare un percorso? Non sono del partito che necessariamente bisogna fare il conservatorio o essere strumentisti eccelsi per essere autori e interpreti, questo però non significa che non ci sia bisogno di costruire qualcosa dentro di noi per arrivare a fare una musica che ci rappresenti, che ci faccia chiudere gli occhi e immaginare proprio la nostra faccia mentre l’ascoltiamo. In fondo chi rimane ha questa cosa qui, l’irripetibilità dell’esperienza di chi ascolta. Ci sono milioni di cantautori americani folk e poi c’è Bruce Springsteen. Ci sono milioni di artiste pop e poi c’è Madonna. Ci sono tantissimi neomelodici ma c’è un Gigi D’Alessio. Non te l’aspettavi questa eh? 

La gavetta è ovviamente personale e variabile, auguro a chiunque di fare un primo disco clamoroso ma di non fermarsi li, di non adagiarsi, di continuare a ricercare, scavare, emozionarsi

Giorgieness – Foto Giulia Bartolini

Insomma, le carriere lunghe e luminose non sono fatte solo di successi e dischi d’oro, di playlist e numeri. Sono percorsi, sono persone che ci hanno messo tutta la loro essenza e magari ci arrivano al quinto disco a smettere di sentirsi dire dai genitori di trovarsi un lavoro vero. 

Però così la musica non diventa un modo per diventare famosi per tot tempo, ma l’espressione di qualcosa di più profondo. 

Qualcosa che riesce a far pensare una persona che ti ascolta “grazie, senza quella canzone non ce l’avrei fatta” e ti migliora qualunque giornata. 

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