Una ballata amarissima, che affiora dalle labbra quasi come gocce di veleno. Una dichiarazione di resa ed impotenza, nella quale la rabbia è imbrigliata e quasi inscatolata. “Scatolette”, il nuovo singolo de I Ministri, rappresenterà uno dei brani simbolo di un periodo nel quale la musica è stata quasi trattata da vittima sacrificale sull’altare di un presunto “stato di necessità”. Fede, Divi e Michele ribadiscono di essere una delle poche band italiane in grado di analizzare la realtà senza filtri, anche quando questo impegno politico e sociale lascia le tracce di un dolore infinito sotto pelle. Un’urgenza di rompere una quiete indotta priva di ogni senso, senza lasciare che le schegge della stessa alterino per sempre il ritmo del nostro cuore.
Scatolette: Voi ci volete comprare, noi ci vogliamo salvare
Una schiera forzatamente ordinata, in attesa di essere giustiziata o di rimandare all’infinito la propria esecuzione.
Opinioni che si trasformano in sentenze e diventano un assedio, un muro di cinta impossibile da scavalcare.
Voci che si zittiscono in sequenza come i tasselli di un domino che avvolge fino a strozzare tutti quei luoghi nei quali, fino a pochi attimi fa, il rumore diventava creazione e assumeva le forme della vita.
Una quiete mortifera interrotta dai gas di scarico di un Suv. Non è un futuro distopico, ma si tratta del nostro presente fatto di silenzi addomesticati o di voci di ventriloqui che si sostituiscono a quelle delle marionette umane che sorreggono.
“Scatolette”, il nuovo singolo de I Ministri, è una riflessione amarissima sulla condizione della musica e della cultura oggi. “Chiudono le biblioteche, chiudono le discoteche. Si rompe anche il megafono del prete. Non ha senso questa quiete”. E di fronte alla sensazione di smarrimento di una porta sbarrata, per l’ennesima volta, la risposta non è più la rabbia cieca e distruttiva, ma una resa impotente.
Dopo l’apocalisse di questi ultimi due anni, dopo tutte le dichiarazioni di facciata e le lacrime di circostanza, quello che è rimasto è soltanto un grande baratro. Un buco nel petto che attira avvoltoi per i quali le macerie fumanti della cultura rappresentano una nuova opportunità di business.
“Voi ci volete comprare, noi ci vogliamo salvare”. Prima sussurrano e poi urlano I Ministri. Una condizione di necessità che crea di per sé una vittima e un carnefice considerato come eroe. Stavolta, però, non esiste rivolta o ribellione, perché le tutte le forze vitali si sono esaurite per restare in vita, per galleggiare nella tormenta. Resta la resa e un auspicio che nel momento in cui viene formulato si sgretola già in frantumi “Ma ci volete davvero, non ci farete del male”.
“Scatolette, tra le ballate che abbiamo scritto, è una delle più amare, probabilmente perché parla della crisi di una delle cose che ci sono più care , la musica. Quella musica con cui abbiamo stretto un patto ancora ragazzi, quella musica che pareva un angolo di libertà e indipendenza in un mondo che si preoccupava solo di far cassa, quella musica che sembrava poterci salvare. Scatolette è anche una canzone su tutte le luci che si sono spente: biblioteche e discoteche per la prima volta unite in un lento declino di cui non riusciamo più a vedere l’inizio”.
E nel quale non è ancora possibile vedere una fine o la possibilità di una salvezza. Resta soltanto l’attesa e la consapevolezza che in questo cambio ineluttabile di coordinate l’unica possibile soluzione per resistere è “fare tutto quello che non bisogna fare”.