Il Premio Bianca D’aponte a Roma: le nuove frontiere della musica

Il Premio Bianca D’aponte, l’unico premio italiano dedicato al cantautorato femminile, ha fatto tappa a Roma all’Officina delle arti Pier Paolo Pasolini Regione Lazio. Una serata che ha visto alternarsi sul palco le nuove stelle della nostra canzone. Il cantautorato come responsabilità civile ed umana e la rivendicazione di una necessaria autonomia artistica sono alcuni fra i temi toccati dalle artiste

Le canzoni non hanno genere

La musica non deve essere inscatolata in un genere e le canzoni non hanno un sesso. L’assenza di barriere e limitazioni, confini ed etichette è il refrain principale del Premio Bianca D’aponte, l’unico contest italiano dedicato alle cantautrici, che ha fatto tappa all’Officina Pasolini di Roma.

Le dieci finaliste (Eleonora Betti, ChiaraBlue, Martina Jozwiak, Giulia Ventisette, Lamine, Jole, Rebecca Fornelli, La Tarma, Chiara Bruno e Cristiana Verardo) sono la migliore espressione del cantautorato italiano: dalla forma più classica, alla ricerca di sperimentazione, da un linguaggio che trae ispirazione dal quotidiano a visioni distorte e oniriche.

“Credo che la canzone non abbia sesso, esistono canzoni belle e altre brutte, a prescindere da chi le scrive – ci racconta la vincitrice Cristiana Verardo -. Il cantautore ha, soprattutto oggi, una responsabilità enorme. Non è possibili fermarsi ai manierismi o al ‘già sentito’, è necessario raccontare la propria visione del mondo”.

Premio Bianca D'aponte
Cristiana Verardo, la vincitrice del Premio Bianca D’aponte 2019

Una visione originale e non banale della realtà che fornisce anche Chiara Bruno, che ha partecipato al premio con uno dei testi più emozionanti del Festival. L’incipit della sua canzone arriva a ricordare “Lo Straniero” di Camus: “Ammazziamo questi padri, che ci tengono in catene”. Catene non soltanto fisiche, ma anche (pre)concettuali. Come quelle che, spesso, ancora avvolgono il mondo della musica: “Spesso l’attenzione o le critiche che vengono riposte nei confronti di un cantautore sono diverse da quelle mosse ad una donna – spiega -. L’uomo nella musica è ancora più libero di esprimersi. Anzi, se la donna non si limita a parlare e cantare d’amore può rappresentare un problema”.

L’indipendenza come necessità

La musica come strumento per far “suonare” la propria voce e come tramite per affermare la propria indipendenza artistica ed umana. La Tarma e Lamine sono due fra le più originali finaliste del premio Bianca D’aponte.

Il disco de La Tarma “Usignolo meccanico” è sicuramente una delle produzioni più originali ed interessanti di questo 2019. Un album che nel titolo e nei contenuti ricorda anche la schizofrenia kubrickiana di “Arancia Meccanica”.

Il video di “Usignolo meccanico”

La cantante emiliana cita espressamente Demetrio Stratos, ironizza sulla necessità affermata da molti di fare pezzi “chitarra e voce” e utilizza metafore iconoclaste. “Usignolo meccanico” è un disco fisico e corporeo, stratificato ma al tempo stesso essenziale. “Siamo in una società ed in una cultura che tende ad alienarci dal corpo – spiega -. Penso che dobbiamo riappropriarci di questa dimensione come veicolo del sentire. Come artisti dobbiamo prendere contatto e far prendere contatto con cose che tendiamo a dimenticare. In questo senso l’arte può essere anche terapeutica”.

La musica, oltre che terapeutica, può anche essere uno strumento per l’affermazione della propria identità e della propria autonomia. E Lamine, vincitrice del premio della critica Bianca D’aponte, è un progetto completamente autonomo, improntato al “Do it Yourself” (DIY) tipico dell’approccio punk. Un’idea di musica indipendente fin dal nome che rievoca coltelli e lamiere, ma anche lacrime e dolore.

Lamine

“Siamo liberi al 100%, non c’è alcun tipo di compromesso – ci spiega -. Credo che nel lungo termine sia più facile fare una cosa nel quale sei totalmente libero, anche se potrebbe essere necessario più tempo. Adattarsi a delle dinamiche imposte rischia di far sfaldare l’idea alla base di un progetto”. Un’idea rumorosa, viva e diretta: “Per me il rumore è essenziale, significa affermare ‘io sono questa roba qui’. Che magari può fare schifo, essere bella o brutta. Ma è autentica”.

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