Se oggi possiamo guardarci indietro e pensare che il peggio sembra essere passato, se oggi possiamo anche solo sognare una fase 2 è grazie a quanto è accaduto fino a ieri nei nostri ospedali. Medici, infermieri, inservienti, tutte le figure professionali del comparto sanitario del paese hanno affrontato l’emergenza Coronavirus dando fondo alle proprie risorse umane per il bene della collettività
Una retorica dannosa
La retorica della guerra alla pandemia ha presentato i medici come soldati in prima linea.
Il COVID-19 è stato descritto come un nemico subdolo ed invisibile, come un vietcong armato ed agguerrito nascosto nella jungla.
I sanitari come gli eroi delle Termopili.
Non tutti i medici però sono d’accordo con questa definizione. C’è chi pensa che un medico non dovrebbe avere bisogno di essere un eroe per sconfiggere una malattia. C’è chi ritiene che con gli strumenti giusti, le dotazioni utili, le strutture idonee, un medico potrebbe semplicemente limitarsi a fare il proprio mestiere in sicurezza ed affrontare anche situazioni straordinarie senza bisogno di attingere a risorse sovraumane.
Perché poi simili definizioni, date magari dagli stessi soggetti ed organismi che fino a qualche tempo prima avevano contribuito a tagliare i rami su cui si poggiava l’intero sistema sanitario nazionale, hanno il gusto amaro dell’ipocrisia.
Di celebrazione a costo zero per alleggerirsi la coscienza.
Le stesse coscienze che invece medici e sanitari impegnati nelle cure dei contagiati hanno viste aggravarsi di pesi non richiesti e non dovuti.
Soltanto un mestiere
“Fare il dottore è soltanto un mestiere” diceva Fabrizio De Andrè in “Un medico”.
E quelle parole sono state scelte e scritte sulla prima pagina della tesi di specializzazione della Dottoressa Valeria Balestra. Chirurga toracica presso l’Ospedale Maggiore di Parma, Valeria si è offerta come volontaria per assistere i malati di COVID-19 nella sua struttura. Come si sa l’Emilia Romagna è stata una delle regioni italiane più colpite dalla pandemia ed i turni e le condizioni di lavoro di medici e paramedici della regione sono state infernali.
E non solo per i turni e gli orari massacranti o per la fatica fisica di una mole di lavoro abnorme.
La pandemia ha inferto colpi duri e ferite profonde anche all’animo dei lavoratori del settore sanitario.
Vedere, percepire, ascoltare il dolore di migliaia di persone fa male quando ti senti responsabile della loro vita.
Quando le lacrime delle famiglie delle vittime scavano solchi nella corazza che ci si è costruiti, vengono esposte insicurezze, frustrazioni e paure.
Quando una malattia infame costringe chi soffre a farlo da solo e la dignità di chi muore in silenzio commuove e fa pena.
Quando sei un parafulmine in mezzo ad una tempesta e non hai il tempo di scaricare il tuo animo scosso.
Quando sei un essere umano, e non un eroe, hai bisogno di trovare la forza per reagire.
Nessuno però, in questi 2 mesi di pandemia ha mai chiesto ad un medico: “ma tu, come stai”?
Voi, come state?
I camici bianchi sono stati interpellati solo per descrivere sintomi, diffondere dati. Al più sono stati inseriti in una categoria speciale nel conto delle vittime.
Per la retorica della guerra, come i soldati, contavano da caduti.
Ma ogni giorno un medico tornava a casa a fine turno. Ogni giorno un medico ritrovava la sua famiglia.
Fuori dagli ospedali anche i medici vivevano le limitazioni della quarantena.
E lo fanno anche oggi, come tutti noi, come ogni essere umano.
Come noi, e più di noi, un medico COVID ha bisogno di nutrimento per l’anima.
Abbiamo chiesto alla Dott.ssa Balestra come sta. Le abbiamo chiesto di raccontarci cosa la fa stare bene, cosa le dà la carica per affrontare la sua giornata. E la sua risposta è stata la musica.
La musica che culla i ricordi, quella con parole attuali, quella che trasmette coraggio e dà la forza per andare avanti.
E come a Valeria vorremmo chiedere alle migliaia di lavoratori degli ospedali: “ma voi, come state?”.