Storie di accendini senza sigarette, di guerre dove non si muore anche se si muore, di case costruite con il catrame. “L’ultima casa accogliente”, il nuovo disco degli Zen Circus, è una riflessione amara sul corpo e sui corpi, sulla libertà e sulla privazione della stessa. Un album, come racconta la band, “figlio di questo periodo” e per questo meno ironico rispetto al passato.
Alla ricerca di salvezza in una guerra dove non si muore
Una trincea edificata con una schiera di corpi, un tentativo estremo di difesa per evitare di morire in una guerra della quale siamo gli artefici e le vittime, i carnefici e gli sfollati. Un rifugio, prima distrutto dal fuoco che ha iniziato ad ardere in una stanza e poi ricostruito sul catrame. “L’ultima casa accogliente” alla fine di un percorso nel quale “siamo stati viaggiati” che ci accompagna nella serenità della notte e accoglie in una quiete che profuma di tabacco. Il nuovo disco degli Zen Circus è un guerra e salvezza, pace e agonia, sangue e laccio emostatico, scalini infiniti e discese senza fiato. Un album che racconta la storia di corpi seppelliti reclamati dal padrone, di corpi che cercano di spezzare le catene, di anime che contano e cercano di immaginare il momento in cui proverranno amore.
“L’idea iniziale era quella di incentrare il disco sul corpo – ci spiega Ufo, il bassista -, ma è vero che in queste canzoni descriviamo anche vizi e virtù, fragilità e debolezze umane”. Un’umanità che urla e chiede salvezza, prega (laicamente) e si sforza di vivere nonostante la propria condizione di “bestia rara”. “Salvami dai mostri, dal mondo. Salvami da quello che voglio, il male profondo. Dalla morale, dall’obbedienza, dalla normalità fatta sentenza. Dalla vergogna, dall’efficienza. La sicurezza, la sufficienza” canta Andrea Appino in “Non”, un salmo dove non si cerca dio, ma si spera di trovare un barlume della propria anima. “Non arriva da una giornata passata in compagnia del me da piccolo – ci racconta il cantante -. Questo brano sembra che parli a qualcuno, ma parla a noi stessi. Nessuno può salvarci, siamo noi che possiamo riuscire a farlo e siamo sempre noi ad offrire a qualcuno la possibilità di redimerci”. E fra i mostri dai quali salvasi, quello più pericoloso è l’obbedienza. “La morale è un concetto elastico e tende ad incidere sulla nostra vita in maniera minore rispetto all’obbedienza, che è insito nel vocabolario emotivo con il quale ci relazioniamo con il mondo e con noi stessi – ci spiega il batterista Karim -. L’obbedienza si annida nel nostro midollo ed è molto più pensante rispetto alla morale, spesso lo vedo anche su di me”.
“L’ultima casa accogliente” è un disco potente perché descrive l’umana impotenza, è un disco libero che parla di una spasmodica corsa verso la libertà, è un disco amaro come il gusto di una sigaretta spenta e riaccesa. Un album molto meno ironico rispetto al passato. “Le canzoni sono figlie di questo periodo e, vista la situazione che viviamo, c’era meno voglia di scherzare. Durante questi mesi abbiamo visto corpi che invecchiano e corpi malati e questa cosa ha inciso sull’umore de “L’ultima casa accogliente”. O forse anche noi siamo un po’ invecchiati…”.
O forse tutti noi ci siamo resi conto di essere impotenti. Come accendini senza sigarette.