L’interpretazione del Joker è valsa a Joaquin Phoenix l’Oscar come miglior attore protagonista.
Sarebbe un vero peccato, però, se la sua magistrale prova d’attore finisse per abbagliare il pubblico ed eclissasse un film che solo apparentemente ruota intorno al suo protagonista.
Joker è un capolavoro che rompe le regole ed usa un linguaggio innovativo e sconvolgente, come un rumore.
Un film divisivo
Tutto il mondo ha parlato di Joker. L’ultimo film di Todd Phillips è stato al centro dell’attenzione della critica e del pubblico per un motivo molto chiaro. Questo motivo ha un nome ed un cognome: Joaquin Phoenix.
La sua interpretazione di Arthur Fleck è senza dubbio straordinaria. Una di quelle prove d’attore che rimarranno nella storia del cinema, incastonate tra il Colonnello Kurtz di Marlon Brando e il Travis Bickle di De Niro.
Phoenix è uno di quegli interpreti che da solo è capace di reggere il peso di un film. Se questo sicuramente può essere un valore aggiunto per produzioni di livello medio/basso, la sua figura ingombrante rischia di eclissare la stella di pellicole che brillerebbero comunque di luce propria. E questo è proprio il caso di Joker.
Sin dalla sua uscita il film di Phillips ha diviso la critica. Ma lo ha fatto in maniera peculiare e diversa dal solito.
I critici infatti, seppur con giudizi contrastanti sul suo valore hanno tutti unanimemente concordato che l’interpretazione del Joker di Joaquin Phoenix fosse magistrale. E quindi si è divisa tra chi ha parlato di un gran film con un grande Joaquin Phoenix e chi di un film disturbante, incompiuto, noioso ma con un grande Joaquin Phoenix.
E così si è finiti con il parlare del film solo per il suo attore protagonista. Quasi come se tutto il resto fosse un contorno, un semplice palcoscenico su cui si esibiva la star.
E questo è un grande errore.
Perchè piaccia o non piaccia il film di Phillips è unico perchè trasversale, attraversa i generi e li stravolge. E’ un film ispirato ad un fumetto? E’ un thriller psicologico? Un horror? Un film drammatico? E’ un film politico?
Si, è tutto questo ed in modo diverso dal solito.
L’orrore è tra noi
Un film è composto da tanti elementi: sceneggiatura, fotografia, regia, costumi, scenografia, colonna sonora e cast. Nei film da hall of fame ognuno di questi componenti è di valore assoluto e concorre, con gli altri, fino a realizzare un’opera di livello superiore.
In Joker tutti questi elementi sono magnifici.
In maniera sottile, poco evidente, anche difficilmente comprensibile, contribuiscono a creare un effetto disturbante. Il chiaro, vero, unico obiettivo che Phillips intendeva perseguire.
Tutto è stato concepito per creare disagio e veicolare un solo messaggio: l’orrore è tra noi. E noi, intesi come collettività, come società moderna, ne siamo la causa.
La figura del Joker è solo un pretesto.
Qui sta il primo colpo di genio del regista. Prendere un personaggio della finzione, proveniente dal mondo fantastico dei fumetti, in cui i buoni vincono sempre, e trasportarlo nella realtà. Far svanire quell’alone di astrattezza, di irrealtà, per diradare la nebbia rassicurante che nasconde l’orrore alla mente.
Quante volte di fronte ai film horror o ai thriller più cruenti ci siamo rifugiati dietro al “tanto è solo un film” per trovare conforto?
Non questa volta. Perchè Phillips vuole fare esattamente l’opposto. Spazzare via il paravento della finzione fumettistica, l’estremizzazione dei comics e dimostrare che il male esiste ed è reale.
La Gotham City di Phillips
La sua Gotham City, quindi, è semplicemente New York city. La scarsa caratterizzazione degli ambienti ha fatto sollevare parecchie sopracciglia tra gli appassionati di Batman. C’è chi ha accusato Phillips di aver tradito le atmosfere gotiche di Gotham, di aver giocato al ribasso con la scenografia. Anche i costumi sono ben lontani dai colori sgargianti dell’immaginario DC Comics.
Niente fluo, poco nero, ma colori di una metropoli come tante altre. Solo una quasi impercettibile color grading per introdurre sottili venature acide nei colori del suo mondo. Venature che diventano solo appena più evidenti con lo sviluppo della storia e della follia, per dipingere velatamente il mondo distorto nella mente di Arthur con le tinte della tradizione Jokeristica.
Questa “normalizzazione” dei luoghi e delle atmosfere serve a Phillips per affermare il suo messaggio.
Per ricordare che il nostro vicino di casa, il tizio seduto di fronte a noi in metropolitana, il panettiere, chiunque, potrebbe essere uno pazzo omicida.
E tutto questo è vero.
Un racconto innovativo
Nella storia del cinema ci sono stati tantissimi film che hanno raccontato le macabre vicende di criminali. Serial killers, assassini, psicopatici, sono sempre stati di casa ad Hollywood e dintorni.
Ma fino ad ora i film che ne hanno inscenato le “imprese” hanno sempre seguito due semplici approcci.
O si è raccontata la storia della caccia al killer dal punto di vista della polizia, o si è mostrato l’orrore della violenza in modo oggettivo, una cronaca minuto per minuto di omicidi efferati.
L’assassino o è un cacciatore di vittime da sacrificare sull’altare della sua follia o è la preda di brillanti investigatori.
Un racconto di questo tipo ha un chiaro scopo e significato: mostrare l’orrore ma al contempo rassicurare il pubblico.
Shockare gli occhi ma accarezzare le coscienze. Lasciar pensare alternativamente che o ci sono brillanti investigatori pronti a garantire la nostra sicurezza o che l’orrore è talmente assurdo da non riguardarci.
La genesi di un mostro
La rappresentazione del killer e delle sue atrocità nella più cruda realtà e verosimiglianza solo apparentemente ha l’effetto di sconvolgere lo spettatore.
Questo stile narrativo, un classico del genere, in realtà è solo uno strumento, una grammatica per immagini studiata e collaudata per incidere solo la superficie dell’animo di chi guarda, senza affondare il coltello in profondità.
In questo modo si racconta il mostro semplicemente per quello che è: una deformazione, un errore della natura.
Un essere talmente abnorme da non essere quasi più umano, da non essere più reale.
Questo topos narrativo serve a dilatare la distanza tra lo spettatore ed il male. A costruire una teca di vetro in cui rinchiuderlo per guardarlo da fuori come una bestia feroce allo zoo.
Todd Phillips infrange a martellate questa teca di vetro.
Getta dritti nelle fauci della belva perchè Joker è il primo film in cui si racconta la genesi di un mostro.
Un racconto di de-formazione
Arthur è una persona “normale”. Certo ha bisogno di qualche pillola, di quelle che nei film di Hollywood tutti ingollano a manciate, senza neanche bere.
Ha dei problemi mentali, li cura ed ha anche trovato il modo di comunicare agli altri la propria condizione per non urtare la sensibilità di chi dovesse assistere ad una sua crisi.
Arthur è un figlio devoto, dopo il lavoro corre a casa dalla madre per prepararle la cena e guardare insieme il loro show preferito.
Arthur è una persona normale ma è anche un reietto.
Un diverso da discriminare, irridere, schernire. La vittima ideale dei bulli da strada, un debole, il capro espiatorio su cui scaricare le proprie colpe e responsabilità. Arthur è un punching ball, da colpire sopra e sotto la cintola, per divertimento, per scaricare in nervi, per dimostrarsi forti. Uno come tanti, il perfetto termine di paragone per sentirsi migliori di quanto non lo si sia veramente.
Responsabilità collettiva
Arthur è così perchè non ha avuto un’infanzia normale. Come tutti gli piscopatici i semi della devianza sono piantati appena fuori della culla. Una famiglia dimessa, una madre matrigna, un padre violento. O ancora l’alcol, l’abuso di sostanze, le devianze sessuali che hanno dovuto sperimentare sulla propria pelle.
I trattati di psicopatologia sono pieni di esempi di questo tipo.
Arthur Fleck potrebbe essere stato il paziente del tuo analista.
E quando i semi della follia sono annaffiati dall’odio, dalla discriminazione, dalla violenza, dalle umiliazioni che la società riserva ai più deboli tutto si rompe.
La follia tracima i già fragili argini che la contenevano.
E la colpa di chi è? E’ della famiglia, sicuramente, il nucleo di base della società, ma anche di tutti noi. Di un mondo che non ammette debolezze, che ridicolizza chi è in difficoltà. E’ di una scala di valori che non scende mai al livello di chi sta più in basso. Di una collettività che respinge, isola e incuba mostri.
Phillips ci fa vedere tutto questo.
Ci fa sentire tutti responsabili per non aver aiutato una vittima ed averla trasformata nel peggiore dei carnefici.
Per questo Joker disturba e spaventa pur contenendo appena un paio di scene violente. Perché va dritto al cuore del problema: la disumanizzazione della società moderna. Quella che genera mostri nel film come criminali violenti, assassini e serial killers nella realtà.
Il messaggio politico
Joker ha il merito di aver portato a conoscenza del grande pubblico le dinamiche dietro le peggiori menti che la storia criminale abbia conosciuto.
I meccanismi della follia violenta, fino a ieri ben racchiusi nei trattati di psicopatologia ma troppo terrorizzanti per essere portati sul grande schermo, sono stati “nascosti” dietro le sembianze di un villain dei fumetti.
Il messaggio politico di Phillips non è solo quello illustrato didascalicamente della rivolta e ribellione alla regole della società. E’ un invito a riflettere sulla natura dei rapporti umani, sulle modalità di interazione con il prossimo. Insegna che a deridere e ad abusare della dignità di una persona si rischia di accendere un fuoco che finirà per bruciarci, tutti.
Ricorda che anche l’ultimo degli ultimi merita di essere aiutato e che l’abbandono di un essere umano al suo destino rischia di avere conseguenze che riverberano sulla collettività.
Joker racconta una storia vera, in un mondo reale come quello in cui noi tutti viviamo.
E nel nostro mondo non ci sono uomini pipistrello a salvarci.