La shitstorm contro Margherita Vicario e quei microfoni spenti

“Anacronistica e misogina”. Così Margherita Vicario ha definito su Instagram “Sparami” di Emis Killa e Jake La Furia. E la risposta dei fans della coppia di rapper non si è fatta attendere: centinaia di insulti e minacce e parti della stessa canzone utilizzati contro la cantante. Ma la cosa che colpisce (e ferisce di più) è il silenzio assoluto della scena. Se da Emis Killa (già ampiamente recidivo sulla tematica) e Jake La Furia non ci si poteva aspettare un intervento che avrebbe rappresentato una perdita di “street credibility”, anche gli esponenti del conscious rap italiano hanno spento i microfoni su questa tematica, nonostante le loro canzoni spesso rompano gli schemi stereotipati di questo genere

The Social Dilemma: dalla polarizzazione delle opinioni al silenzio

“Ma l’errore più frequente, è non vivere il presente. Tra depressione e paranoia, piega la testa, arriva il boia”. Per comprendere la shitstorm contro Margherita Vicario dopo una sua presa di posizione social contro “Sparami” di Emis Killa e Jake La Furia è opportuno partire proprio da una frase di Margherita contenuta nella sua “Piña Colada”. Testi come quello della coppia sono l’espressione di uno dei principali difetti di una parte del rap contemporaneo italiano: l’assenza di un legame con il “presente”, l’utilizzo di un linguaggio da sobborghi americani (anni ’80 e ’90, perché oggi a Detroit non parlano certamente così), la necessità di superare i confini di una continenza verbale ed etica per acquisire una “street credibility” che in Italia ha un valore esclusivamente instagrammabile.

Una condizione che, però, si crede continui a fare status, uno status che purtroppo sembra premiare sul mercato. E che crea eserciti di ascoltatori furenti, oltranzisti nella difesa dei propri “pericolosissimi” leader e capitani (ci perdoniate il termine, ma di fatto è così). Una “testuggine militare” compattata grazie ad una strategia guarda caso proprio politica: la polarizzazione delle opinioni. La spettacolarizzazione di un tema come il sesso, l’uso di aggettivi e parole oggettivamente ributtanti, rispondono ad una visione del mondo che prima è stata imposta da una parte dei musicisti e poi è diventata grammatica feroce. E la tendenza a fare squadrone, a diventare boia nei confronti di chi esprime un’opinione contrastante, ne è la naturale conseguenza. Il linguaggio di un certo tipo di rap è una sorta di post-verità che non ammette la possibilità di repliche, sentenzia, determina e non lascia spazio a contraddittori. Non se ne può discutere, se non con schiumanti e violente denigrazioni. E l’arma diventa la stessa canzone oggetto di critiche, usata non a caso nei versi incriminati per attaccare ed offendere Margherita. Anzi, la possibilità di difendere ed usarla a sua volta come arma rafforza questo meccanismo di polarizzazione. Un pregiudizio di conferma che ha l’effetto di rafforzare l’inconsistente realtà descritta dalla canzone.

Eppure, il problema non è soltanto questo. Abbiamo sentito fin troppe opinioni che tendevano a fare lo stesso errore della fandom di Emis Killa e Jake La Furia (che intanto ringraziano lo stolto esercito e passano all’incasso su Spotify): generalizzazioni sul “rap brutto, sporco e cattivo”, diseducativo e nocivo. Ed è una polarizzazione inversa, basata su testi come quello della coppia, che cade nella trappola fin troppo italiana del “o con me o contro di me”. In Italia, però, sulla scia del conscious rap americano abbiamo tantissimi esponenti che non solo sono lontanissimi dall’atteggiamento da bulletto del liceo di Killa & Company, ma hanno anche creato un immaginario lessicale, verbale e poetico assimilabile alle vette del cantautorato italiano. Madame, Rancore, Murubutu, Claver Gold e fin anche l’ultimo Marra, hanno dimostrato la reale potenza dello studio sul linguaggio che, per forza di cose, diventa studio su se stessi e su un movimento. I loro dischi sono assimilabili alla letteratura, che spesso come nel caso di Murubutu ne è diretta fonte di ispirazione. Ecco, sta qui il futuro del rap. Un futuro che, purtroppo, in circostanze come queste tace. Si nasconde. Microfoni pronti ad accogliere barre e flow potenti e viscerali che oggi sono tristemente spenti. Eppure proprio oggi servirebbe una presa di posizione da parte di questi rapper, un coraggio che potrebbe mandare in tilt il sistema e depolarizzare le opinioni.

Ma ancora nulla. E allora non resta che far parlare un’altra canzone di Margherita: “Di certo, vedi, è meglio esser liberi e incoscienti che non servili, schiavi o succubi dei deficienti”.

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