Mi sono serviti diversi bicchieri di vino per trovare il coraggio di chiedere se ci fosse spazio per una piccola camera sicura in cui riversare tutto il rumore che fanno le mie emozioni. Durante una tranquilla domenica di novembre, mentre raccontavo l’ennesima avventura in cui mi ero infilata, ho chiesto a Pink Noises di ospitare i miei deliri e – con mia assoluta sorpresa e consecutiva crisi d’ansia – mi sono ritrovata a mettere nero su bianco la mia vita nei suoi aspetti più personali e umani, nei suoi episodi spesso assurdi e ridicoli, nel suo turbinio di emozioni, tante e diverse, tutte troppo intense per riuscire a gestirle. Ed eccomi qui, a farvi entrare in questa stanza segreta, in questa Panic Noises, impaurita ed eccitata al tempo stesso, pronta a raccontarvi che rumore fa il mio personalissimo panico.
Si comincia.
Tinder in pandemia: quando una vita sentimentale catastrofica – forse – può solo peggiorare
Una sera d’autunno – di un anno un po’ strano – mentre fuori pioveva, ero sdraiata sul divano, guardavo un programma super trash in TV e all’improvviso ho pensato “adesso scarico Tinder!”… Mi porto avanti con l’introduzione, perché sono solita inciampare in disavventure talmente assurde che meritano sempre di essere raccontate. Cantastorie è il mio secondo nome – Vicky, invece, è il soprannome. Non mi prendo sul serio e faccio ampio uso di ironia (ok e anche di becero sarcasmo, lo ammetto)”.

Questa è la mia bio su Tinder e corrisponde alla verità più cruda. La sera che ho deciso di ritornare sulla piattaforma digitale di dating più famosa al mondo, me ne stavo avvolta in un’enorme coperta di pile, nella peggior versione di un bacarozzo consapevole che il suo tempo per divenire farfalla fosse ancora lontano – per quanto mi piaccia pensare il contrario, per quanto sia convinta di aver fatto il famoso salto, il cambiamento tanto atteso e agognato, quel passaggio dalla giovinezza all’età adulta, sancito nel mio caso dal compimento dei 31 anni, di cui l’ultimo dedicato a scoprire ciò che gli amici più maturi intendessero quando mi parlavano de “I trenta e il raggiungimento della consapevolezza”, che sembra il titolo di un manuale di auto-aiuto, me ne rendo conto, ma era proprio così che mi ponevano la questione e da qui si evince quanto me ne servisse di aiuto.
I trenta, gli anni della consapevolezza
Insomma, alla fine l’ho capito. Quando ti dicono che a trent’anni diventi consapevole e tutto è più semplice, ti stanno in realtà anticipando che imparerai ad abbracciare il concetto del
ma che minchia me ne fotte!
e a farlo tuo, utilizzandolo come palla demolitrice per abbattere anni e anni di paturnie, paranoie, pippe mentali e barriere di insicurezza, montagne di giudizi subiti e autoinflitti attorno a cui ti sei nascosta per praticamente tutta la vita. Nessuno però ti dice che appena scopri l’arcano ci resti anche un po’ di merda, perché di fatto realizzi di aver trascorso i tuoi anni migliori, quelli della florida e turgida giovinezza, a non capire come utilizzare le armi di cui madre natura ti aveva dotata. Bella storia, raga’, grazie. Non potevate darmi questa lezione prima? Che ne so, intorno ai 25? Almeno avrei potuto contare su una genetica in grado di contrastare la forza di gravità.

E invece sono qui, 31 anni, single, con un lavoro (precario ma gratificante), in una grande città, pronta a donarmi al mondo intero forte di una sicurezza ritrovata – o meglio, nuova di zecca – carica a pallettoni, on fire, conscia di possedere un immenso potere sensuale e sessuale e con la voglia di utilizzarlo per rifarmi di tutto il tempo perduto, degli anni passati con l’autostima sotto i piedi, desiderosa di dimostrare all’universo quanto oggi sia consapevole di essere una gran fica. Nel bel mezzo di una fottutissima pandemia globale.
Panic Noises: chi ha tempo non aspetti tempo
Signore e signori, ecco la storia della mia vita: una serie di paradossi epici riproposti in un ciclo continuo di surrealistica sfiga. Non ammetterò di aver fatto ricerche su Google per capire quando inizieranno ad apparire i primi segni effettivi della vecchiaia, né mi soffermerò sui grafici che ho disegnato nella mia mente per analizzare quanta preziosa bellezza stia sprecando stando in casa ed evitando qualunque tipo di contatto umano, come suggerito da una sfilza di DPCM che oramai colleziono e conservo come monito per il futuro, archiviandoli in un fascicolo che si intitola “La prossima volta che ti inventi scuse o ti fai venire le paturnie, ricorda che potrebbe esplodere una pandemia e fotterti (ma non nel senso che vorresti tu)”.

Un fottutissimo swipe
E dato che di fottere si parla, che poi alla fine lo sappiamo tutti che è la ciccia vera quella che volete, torno all’incipit di questo vomito incontrollato di parole, a quella bio in apertura, una descrizione che provo a dare di me stessa all’interno di un app di incontri, nata a suo tempo con lo scopo di facilitare le occasioni di sesso tra individui e rivelatasi, negli ultimi mesi e per via dei sopra citati DPCM, l’unico modo per conoscere virtualmente gente nuova, allargare la propria cerchia, pescare bendati dal pallottoliere della fortuna quello che tutti ci auguriamo possa essere il numero vincete, ma che può anche rivelarsi un enorme buco nell’acqua, in una chat in cui è davvero impossibile prevedere con chi ti troverai a interagire e dove da un semplice e veloce swipe può dipendere la nascita o la condanna a morte di un qualunque tipo di potenziale relazione tra esseri umani. Un fottutissimo e banalissimo swipe.

“At least someone knows where I am”
Benvenuti nel magico mondo di Tinder – Pandemic Edition, un luogo in cui è il disagio a farla da padrone, una finestra su un mondo che – va detto – è quello in cui viviamo e non solo da quando siamo reclusi in casa per colpa del virus, ma ormai da ben troppi anni. Non mi eleverò a suprema guru delle relazioni o a esperta antropologa che conduce una ricerca sulle dating app per nobili fini scientifici. La verità è che io ho scaricato Tinder perché stavo per davvero sola su quel dannato divano, con una malsana voglia di ordinare un chilo di gelato su Glovo da consumare con un cucchiaio grande davanti alla TV mentre guardavo Temptation Island, consapevole della condizione di abbrutimento in cui versavo e desiderosa di nutrire il mio ego fingendo che tutto andasse bene.
Non so ancora dove tutto questo mi condurrà e quali insegnamenti trarrò da questa esperienza. So che mi è stata data l’occasione di raccontarla, per cui eccomi qui.


La cosa vi interessa? Molto bene, insieme ci divertiremo.
Non ve ne frega niente? Ma chi minchia se ne fotte! Mettere nero su bianco ciò che mi attraversa il cervello, il cuore e l’anima, fa parte della mia terapia anti-panico.