The End of the F***ing World: esiste una via di fuga alla fine del mondo? Una delle serie Netflix più attese dell’anno ci porta ai margini di un universo generazionale fatto di fughe e ritorni, violenza e dolcezza, cinismo e disperazione.
Alla ricerca di se stessi
Un romanzo di formazione che diventa una serie TV, il grido di una generazione alla disperata ricerca di se stessa.
Era questa la sensazione che lasciava la prima serie di The End of the F***ing World. Molte domande, nessuna risposta. Alyssa e James quasi come due novelli Natural Born Killers, scappavano da un mondo che non gli apparteneva ma, soprattutto, fuggivano da se stessi.
L’enorme successo di pubblico ha obbligato Netflix e Channel 4 a continuare un racconto che si era fermato con James agonizzante su una spiaggia. Ma il mondo del titolo non è finito qui, ha continuato ad andare avanti.
Mentre la prima serie di 8 episodi era basata sull’omonima graphic novel di Charles Forsman, gli eventi di questo seguito nascono dalla penna di Charlie Covell che ne ha scritto la sceneggiatura originale.
È Bonnie in volto nuovo della seconda stagione della serie e di fatto tutto ruota intorno a lei.
Naomi Ackie è credibile nell’interpretare un personaggio sui generis e straniante come quello tratteggiato dalla Covell. Una ragazza cresciuta da una madre rigida ed anaffettiva, capace di riversare su di lei solo enormi aspettative, caricandola di una pressione insostenibile.
E così Bonnie, costretta in una vita non sua, frustrata e perennemente fuori luogo in ogni ambiente, trova la propria identità tra le braccia del professore maniaco ucciso da Alyssa e James nella prima serie.
Il rapporto malato con quell’uomo più grande di lei che la circuisce e raggira per soddisfare le sue perversioni, nella mente di Bonnie diventa amore, puro, fulgido. E sete di vendetta quando le viene strappato via.
The End of Alyssa’s World
Mentre Bonnie rimane vittima di un mondo al quale non riesce ad appartenere, Alyssa per sfuggire ad una fine simile si chiude in se stessa. Erge una barricata emotiva impenetrabile che la isola e la difende dall’esterno.
Il fuoco che, seppur sopito, ardeva in fondo all’anima di Alyssa e rischiarava il buio dei suoi turbamenti adolescenziali sembra adesso definitivamente spento.
Le sfaccettature del suo umore, la sua personalità complessa non è sviluppata a sufficienza dalla sceneggiatura, che delinea i tratti di una giovane donna insicura, incerta del suo ruolo nella vita adulta.
Alyssa affronta la maturità totalmente svuotata di emozioni, sensazioni, espressioni. Come un manichino dentro cui quasi non soffia la vita, anche quando fa una scelta fuori dagli schemi, torna sui propri passi, indecisa.
Questa nuova Alyssa è senza dubbio meno interessante e profonda di quella che avevamo imparato ad amare. Non segue un percorso interiore, non evolve la consapevolezza di sé, ma resta ferma, statica, algida.
Esercizio di stile
Come la caratterizzazione dei personaggi anche il plot della seconda stagione sembra aver sofferto la recisione del cordone ombelicale che la legava al fumetto originale.
Quello che sicuramente non è calato rispetto alla prima serie è invece il livello della regia.
La forma di questa seconda stagione è splendida. Le scenografie, la fotografia e la regia di Lucy Tcherniak sono impeccabili, riescono a caratterizzare l’aspazialità e l’atemporalità degli eventi e dei luoghi in maniera unica, creando un diorama in cui i personaggi si muovono come in una fiaba nera.
La fotografia, chiaramente ispirata ai film di Wes Anderson, con le sue inquadrature centrali e simmetriche, traduce in immagini l’isolamento emotivo dei personaggi con un effetto straniante, coinvolgente e ben riuscito.
La colonna sonora è uno dei protagonisti della storia e riesce a riempire i vuoti e a regalare emozioni anche quando i protagonisti sembrano non comunicarle.
La seconda stagione di The End of the F***ing World sembrerebbe la classica serie “di passaggio” se non fosse che la regista ha già annunciato che non ci sarà un seguito.
La storia di Alyssa sembrerebbe finire qui. Noi, però, non ci crediamo.
Una come lei non può “normalizzarsi”, non può soffocare la sua essenza ribelle. Siamo certi che alla fine troverà un nuovo istinto, una nuova via di fuga, un mondo nuovo contro il quale urlare: “This is not the end”.