Di che colore è il panico?
Io lo immagino come un’infinita distesa di bianco accecante.
Quel bianco che all’improvviso ti invade e ti riempie gli occhi, la bocca, le narici e le orecchie.
Ed è il colore dell’esplosione di tutto quel nero che avevi dentro.
Quel nero che non ha tempo né spazio. È infinito.
Come un 8 rovesciato, due cerchi congiunti che somigliano a una gabbia che si prende gioco del suo prigioniero, condannato a compiere gli stessi giri per un tempo indefinito.
Panic Noises è arrivato all’episodio numero 8 e il nero che abbiamo dentro è esploso.
Sogni interrotti
Stanotte è successo. Ho fatto un sogno. Uno di quelli belli, di quelli che poi senti che ti stai per svegliare e allora ti opponi alla fine con tutta te stessa. Apri appena gli occhi e dici “no, col cazzo che finisce qui”, allora ti rigiri e per magia il sogno riprende esattamente da dove lo avevi lasciato. E te lo godi fino all’ultimo istante e quando sei lì per arrivare al culmine, per raggiungere l’apice, in un caotico assembramento di braccia, gambe, lingue e corpi sudati, col cuore a mille e la meta talmente vicina da poterla quasi toccare, ti svegli.
Boom.
No, ti prego no, non proprio adesso, non sul più bello. Fatemi tornare lì, a quel momento di puro piacere, a quell’intreccio caldo e bagnato, appiccicaticcio ma estremamente poetico. Per favore, fatemelo sentire ancora quel peso sul mio corpo, quel calore che scalda senza bisogno di coperte, quel senso di vita che mi pervade dalla punta dei piedi a quella dell’ultimo pelo che ho in testa. Per favore, datemene ancora, almeno in sogno, almeno a livello del tutto inconscio. Almeno per finta.
Ché di provarle nella vita vera simili sensazioni per ora non se ne parla. E chissà quando se ne riparlerà.
Dannazione. “Era solo un sogno”
“Era solo un sogno” mi dico allora quando finalmente accetto di non potervi tornare, quando realizzo che qualunque stratagemma mi inventi, non mi è più consentito catapultarmi nuovamente in quel meraviglioso mondo onirico che mi vedeva avvinghiata stretta a un altro essere umano. Un uomo con un volto, un nome, degli occhi e delle labbra che – porca miseria – ci sapevano fare e anche bene. Non che ne abbia riscontro dal vero, non che possa affermare che corrisponda alla realtà. Il soggetto in questione non l’ho mai toccato, forse l’ho visto da vicino ma mai così tanto da poter capire se effettivamente sia un baciatore degno del premio di cui nei miei sogni è stato insignito.
E mi sono svegliata sudata.
E frustrata.
E incazzata.
Con un mal di testa che mi fa venire voglia di urlare e l’umore talmente sotto i piedi che mi sto sul cazzo da sola ed evito gli specchi perché so che se vedessi il mio riflesso in questo momento mi darei fastidio.
Orange is the new Black
Orange is the new Black. E Black è la parola chiave. Sono nera. Stanca, spossata, completamente sregolata, al limite e insofferente. Piena. Piena di tutto questo, satura oltremodo e incazzata come una furia.
Dormo male, faccio le 4 ogni notte, mi sveglio a orari improbabili e sento il tempo sfuggire dal mio controllo.
Non ne posso più.
Non ne possiamo più.
Gialli, arancioni, rossi… credo faccia ben poco la differenza a questo punto. Ne abbiamo piene le scatole di regioni colorate, di divieti assimilati ed entrati a far parte di una normalità fittizia, tacitamente accettata, portata avanti per inerzia senza sapere dove tutto questo ci condurrà e, soprattutto, quando finirà.
Ed è mai possibile che questo delirare scaturisca da un sogno interrotto il cui protagonista era il sesso? Sì.
Lo è eccome!
Madre, smetti di leggere. Adesso.
Fratello, esci da questo sito. Subito.
HO BISOGNO DI SCOPARE. ORA.
Ho bisogno di tornare a vivere, di annusare, toccare, assaggiare, sconfinare con corpo e mente ed entrare in contatto con qualcosa che sia altro da me. Un’altra vita, un altro modo di pensare, vedere e sentire le cose.
Ché non è un semplice scambio di fluidi quello di cui sto parlando, non è lo sfogo incontrollato di una donna in piena crisi ormonale, in astinenza, arrapata male e desiderosa di sesso. No. Non è questo, ma ben altro.
In realtà mi basterebbe anche un limone ben piazzato, di quelli che sai che stanno per arrivare e allora te li godi già da prima che avvengano. Percepisci il feeling, la chimica, lo scambio di sguardi che spesso dicono molto più di mille parole. Quell’elettricità che riempie lo spazio tra te e l’altra persona che hai davanti, facendoti sentire viv* come non mai, in una bolla che racchiude tante e diverse sensazioni che ti percuotono ma che riesci a percepire singolarmente, distinguendole, ognuna con la sua massima potenza.
Ho fame di tutto questo. Una fame atavica, ancestrale, quasi invalidante.
Fame di vita
Non viene dal corpo, non viene dalla mente, viene da molto più a fondo. Arriva dal centro esatto di me, da un luogo remoto per molto tempo rimasto inesplorato, un’identità troppo a lungo sopita e per certi versi incompresa, che oggi è uscita allo scoperto, urlandomi in sogno, facendosi sentire, dicendomi: “EHI, STO QUI! PER DIO, VUOI FARE QUALCOSA PER ME?!”
E cosa?
Che posso fare? Come posso darti ciò che reclami? Che mi invento? Dove lo trovo il tuo nutrimento?
Siamo tutti smarriti e lontani, distanti come non mai, racchiusi in piccole stanze colme di paura, frustrazione, rabbia, senso di sconfitta, desolazione e solitudine. Abbiamo accolto tutto questo, l’abbiamo accettato, ce ne siamo fatti una ragione e capito che dobbiamo armarci di tutta la pazienza di cui un essere umano può essere capace per continuare ad andare avanti, sperando che la fine arrivi presto.
Orange is the new black. Ed è qui che stiamo. In questo nero che ci risucchia, ci schiaccia e ci impedisce di scappare. Che ci rende difficile respirare.
Così torno sotto le coperte. Chiudo gli occhi e mi nascondo da una realtà che oggi, solo per oggi, voglio fingere non esista. Sperando di trovare un po’ di pace altrove, tra i miei sogni.
E perché no, stretta a un corpo altro, diverso dal mio, ma che in sogno, ancora, posso permettermi di sfiorare.