Roma, mi vedi?

Giallo è il colore del sole.

É il colore di questa primavera inaspettata ma arrivata all’inizio di una nuova settimana, di un nuovo mese, di un nuovo inizio stranamente ordinato nel caos del periodo in cui viviamo. Il primo febbraio 2021 era un lunedì, nonché il primo giorno in cui Roma e il Lazio ritornavano ufficialmente in zona gialla. Nell’ultimo episodio di Panic Noises parlavo di colori, l’arancione da un lato e il nero dall’altro, un non colore che rappresenta anche uno stato d’animo che non definirei positivo, ma per capire bene di cosa io stia parlando dovreste aver letto quell’ottavo episodio, che, lo ammetto, era uno sfogo tutt’altro che leggero. E dopo quello sproloquio ho sentito il bisogno di fermarmi, di riflettere, di passare più tempo di quanto volessi avvolta tra le coperte, in attesa che tutto ciò che sentivo e provavo assumesse una consistenza e una co-esistenza.

Con me e con questo giallo tutt’intorno.

Riflessioni di primavera

Venerdì scorso Panic Noises non è uscito, ma in compenso sono usciti i nuovi colori alle regione e veniva ufficialmente comunicato che da lunedì Roma sarebbe tornata gialla. E allora mi sono affacciata dal balcone di un appartamento al Pigneto, un posto pieno d’amore che da qualche mese a questa parte è una casa molto più casa di quante ne abbia avute nei miei 31 anni di vita, mi sono rivolta al palazzo di fronte, alle vite vissute all’interno di quelle finestre e di quei balconi, ho visto la mia grande ombra riflessa su quel palazzo e l’ho fotografata.

“Roma, mi vedi?” era una domanda che ponevo alla città, ben sapendo che in realtà era a me stessa che stavo parlando. Perché ero smarrita – e in parte continuo ad esserlo – ma sapere che da lì a pochi giorni sarei potuta tornare a prendere un caffè al bar o a mangiare un boccone seduta ai tavoli di un ristorante, in qualche modo mi rassicurava. Sarei tornata in parte a viverla, questa immensa città.

L’ombra di una megalomania

Lunedì sono uscita. Era il primo giorno di febbraio, il primo giorno giallo, e di ritorno da un impegno di lavoro ho deciso di fare una passeggiata. Ho attraversato San Lorenzo, superato il Verano dopo aver indugiato con lo sguardo sui suoi cancelli e, risalendo per viale Regina Elena, sono passata davanti ai vari ingressi posteriori della Sapienza. Ho guardato dentro, sperando di scorgere qualche studente smarrito, un po’ come lo ero io a 19 anni appena compiuti, quando iniziavo la mia vita in questa città.

Nessuno studente.

Ho avuto un grande rimpianto guardando attraverso quei cancelli tanto familiari, ho sentito un tuffo al cuore e ho realizzato di non essermi mai innamorata durante i miei anni universitari. Arrivavo nella capitale col cuore già impegnato da un anno in una storia che sarebbe proseguita per altri cinque. E mentre gli anni passavano ed io girovagavo in cerca di aule distanti tra loro, non mi sono mai concessa di perdermi per sbaglio nello sguardo di qualche collega sconosciuto, incrociato per caso davanti al pratone, seduto sulla scalinata della facoltà di lettere o intento a mangiare un panino su qualche panchina sparsa qua e là.

Nel pieno di queste riflessioni, quel lunedì primo febbraio del 2021 ho alzato gli occhi per guardare il cielo, improvvisamente richiamata da uno stormo di uccelli che poco prima del tramonto danzavano dipingendo figure astratte sopra i tetti di questa città. E mi sono innamorata un’altra volta.

Questa città

Questa città è la stessa che mi accoglie ormai da tanti anni, quasi la metà della mia intera vita l’ho trascorsa qui, tra una corsa in metro e una in bus, tra un taxi preso al volo e una passeggiata senza meta, tutti viaggi che ho sempre fatto con lo stesso spirito curioso, che mi ha guidata su sanpietrini sconnessi su cui sono inciampata innumerevoli volte, troppo intenta a guardarmi intorno e ad assorbire tutta la bellezza che mi circonda, quella maledetta tipica di Roma, tutta la poesia che trasuda da ogni centimetro quadrato di muro, terra, mattonella, marciapiede, sanpietrino, persino dalla monezza che spesso ne invade gli angoli non necessariamente remoti o nascosti, per non parlare dell’arte, di tutta quell’incredibile arte che sta qui da millenni e che Roma ti sbatte in faccia con tutta la sfacciataggine di cui solo lei è capace.

“Roma, mi vedi?”, le chiedevo dall’alto di quel balcone all’ottavo piano di un palazzo del Pigneto, felice di poter in parte tornare a viverla anche io, non a pieno, ok, ma almeno ancora un po’.

E nel ricordare gli anni universitari passati senza alcuna palpitazione al cuore, mi sono catapultata con la mente a una notte di qualche anno fa a piazza Navona, trascorsa su una panchina a guardare le fontane e a scappare dai gabbiani, a immortalare con il mio cellulare uno squarcio di tutta quella grande bellezza a cui mai mi abituerò e a ripensare a cosa scrissi sotto quella foto, una volta pubblicata su Instagram…

“La tua grande magia è quella di riuscire a farmi sentire innamorata”.

Era il 19 marzo 2017 e scrivevo una dichiarazione a questa città.

A Roma.

Perché la verità è che sei tu, sempre stata tu, l’amore più potente, bello e libero che io abbia mai provato.

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