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Pièce teatrale “Una cosa enorme” di Fabiana Iacozzilli

15 Novembre 2021 @ 21:00 21 Novembre 2021 @ 17:00

Il desiderio di essere madre e il suo contrario, la capacità di prendersi cura sono il cuore del lavoro. In scena, una donna con una pancia enorme si muove nel suo spazio fatto di pochi oggetti. Sono gli unici oggetti tra i quali riesce ancora a essere se stessa: un frigorifero, una macchina del gas, una poltrona, una pianta morta. La donna è in costante e paranoico ascolto di una minaccia che incombe dall’alto.

È incinta da un tempo indefinito e da un tempo infinito cerca di tenere dentro di sé il proprio pargolo, di impedirgli di venire al mondo.

Che peso ha nelle viscere di una donna l’essere e il non essere madre? Che forma o che resistenza accanita assumiamo nel riconoscerci, nel ritrovarci a doverci prendere cura? Che peso ha un/a figlia/o, una madre, un padre?

In una lentezza serrata, senza scampo, Una cosa enorme parte dal confronto aperto con l’essere generativ_ e lo declina con l’essere generat_. Fabiana Iacozzilli declina le interviste audio e le parole di Orna Donath e di Sheila Heti sull’essere madri, nel silenzio, fino a dissolvere la scena in una dimensione installativa. Si svuotano i simboli e la realtà aderisce a se stessa mentre i performer continuano a cercare sui propri corpi un’appartenenza che continua a trasformarsi.

Racconta Fabiana Iacozzilli: «Nel corso del processo artistico che mi ha portato a “Una cosa enorme” – come già avvenuto nel mio precedente lavoro “La Classe” – ho intervistato donne e uomini, conosciuto le loro storie e i loro dubbi, mi sono nutrita della ricerca condotta dalla sociologa Orna Donath e delle parole di Sheila Heti che nel suo diario intimo Maternità si pone la domanda “dovrei fare un_ figli_?” e, in un gioco feroce di autoanalisi e messa in discussione di sé, cerca di ponderare la scelta fino ad arrivare a una frase che ha illuminato anche la mia ricerca artistica “se voglio figli o meno è un segreto che nascondo a me stessa: è il più grande segreto che nascondo a me stessa”.

È stato a quel punto che ho pensato che la donna del mio lavoro – che poi è ovvio che sono io – forse si stava interrogando sulla sua capacità di riuscire a prendersi cura.

Credo che alla fine questo lavoro sia diventato un oggetto emotivo, un oggetto in bilico tra la forma spettacolare la performance e a tratti la dimensione installativa, che s’interroga sulla paura e sul desiderio dell’abbandonare se stessi alla cura di un altro essere umano che sia un padre o un_ figli_ non importa, che s’interroga su una questione che appartiene a ogni donna, alla sua condizione esistenziale e che ha a che fare con una domanda semplice ma per niente consolatoria: “forse, alla fine, si è madri comunque?”».

Fabiana Iacozzilli

Teatro Vascello

Via G. Carini 78
Monteverde Vecchio, Roma, Italia
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