Welcome To Derry: il quieto orrore della provincia americana

“Welcome to Derry”, la nuova serie diretta da Andy Muschietti ispirata al capolavoro “It” di Stephen King, nei primi due episodi riesce nell’impresa di rinviare ad libitum la tensione senza far apparire il protagonista più atteso: il clown Pennywise. Un tentativo sicuramente coraggioso, che finora si concentra sulla descrizione del quieto, ma realissimo, orrore della provincia americana.

La violenza dell’adolescenza

L’orrore che si nasconde fra i banchi di scuola, negli sguardi sprezzanti, negli scherzi nascosti negli armadietti. Nei tradimenti fra i gruppi di adolescenti.

L’orrore che inonda di razzismo nero pece le vene della provincia americana, che chiude le serrande al passare di un viso straniero, che crea muri e barriere fra “noi” e gli “altri”.

L’orrore che uccide perché discrimina, divide, crea fazioni, campi di battaglia cittadini, costruisce fossati e li riempie di bestie sanguinolente.

“Welcome to Derry”, la nuova serie targata HBO ispirata a “It” di Stephen King, del quale rappresenta il prequel, si concentra soprattutto su questo tipo di oscurità, sul terrore tragico dell’essere umano, più che sui, seppur numerosi, jump-scare.

In questa descrizione della quieta e violentissima provincia americana c’è il maggior pregio della serie che, rispetto al film dello stesso Muschietti, sembra voler ripercorrere in questo senso le orme di Stephen King. Eppure, nonostante questo tentativo, la differenza rispetto alle ambientazioni del libro appare ancora abissale. “It” è un romanzo di (de)formazione, la narrazione epica e dolentissima di adolescenze abbandonate, di riti di passaggio a un’età adulta che fa paura, proprio perché negli adulti è impossibile intravedere modelli di riferimento positivi. Gli adolescenti del romanzo riescono a viaggiare “uscendo dal blu ed entrando nel nero” grazie alla loro forza interiore, alla capacità di tenersi per mano, di stringersi in un cerchio che diventa orgia di vita. Quelli di Muschietti, invece, sembrano isole alla deriva che si muovono seguendo l’inerzia degli eventi, aspettando l’ineluttabile.

“Welcome to Derry” pecca proprio nel tentativo di essere più kinghiana di King, ma al tempo stesso è lodevole nel non voler puntare subito il focus sul personaggio sicuramente più catchy. Per i fan di King, come siamo noi, è comunque un bellissimo evento. Perché nonostante tutti i difetti, le criticità, ritornare a Derry significa sempre rifare uno dei viaggi più dolenti, terrorizzanti e teneri della nostra vita.

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