Il rumore dell’Italia per la Palestina

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Che rumore fanno i corpi di centinaia di migliaia di persone che rompono il silenzio?

Qual è il frastuono che si riverbera in città che interrompono il proprio battito regolare per seguire un nuovo flusso che le attraversa?

Ieri in tutta Italia abbiamo ascoltato questo rumore che non è paralisi ma nuova vita, non è immobilità ma frastuono che costruisce spazio e spazi, che allarga gli orizzonti.

Ci continuano a parlare di tensioni e di scontri, la stampa mainstream ignora in maniera sistematica le possibilità che ieri abbiamo aperto per concentrarsi su spiragli che non ci rappresentano e non lo faranno mai. Una distrazione di massa di una distrazione di massa che prova ad allentare gli occhi da immagini che rischiano di imprimersi a fuoco nella memoria. Che nega l’evidenza di centinaia di corpi che disegnano nuovi confini nelle nostre città.

In Italia si è tracciata una nuova mappa. Non quella disegnata da urbanisti o amministratori, ma da corpi in movimento: studenti, lavoratori, precari, migranti che hanno occupato piazze, tangenziali, porti e università. Il blocco non ha immobilizzato, ha ridisegnato lo spazio collettivo. Ha scritto un’altra geografia.

Lo slogan «Blocchiamo tutto» non ha prodotto paralisi ma un’apertura: un varco di coscienza. In oltre 80 città la quotidianità si è piegata a un nuovo ritmo, e la topografia del dissenso ha preso forma tra strade presidiate e applausi di automobilisti a Roma, dove la Tangenziale interrotta è diventata luogo di riconoscimento reciproco e non di ostilità.

E a chi avanza il pretesto che i pochi (infinitesimali) disordini siano una distorsione dell’idea di una manifestazione che dovrebbe farsi portatrice di un messaggio di pace vorremmo far notare che non siamo scesi in piazza per un concetto generico (e stavolta vacuo) di pace. Perché, purtroppo, non si parla di pace ma di cessazione di un genocidio, di interruzione delle brutalità contro bambini, donne, uomini, storie e memorie. La pace, quando arriverà, sarà una richiesta successiva, subordinata – concedetecelo – all’interruzione di qualsiasi forma di offesa fisica, psicologica e morale nei confronti degli esseri umani.

Noi non ci fermeremo. Anzi oggi riconosciamo che fermare tutto è possibile. È necessario. È vitale.

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