Cinico, crudo, paradossale. “Doll’s Paradise”, di Lucia Biagi per Eris Edizioni, è un’opera breve e intensa, affilata come una coltellata e confortevole come l’abbraccio a una bambola.
Non si sevizia una bambola
Dlin dlon. Sorriso. Dlin Dlon. Sorriso. Dlin Dlon. Sorriso.
La porta che si apre e chiude innumerevoli volte, mani che sfiorano oggetti custoditi con cura e devozione. Mani che li strappano furtivamente ai loro scaffali.
E limiti. Imposti, reiterati. Argini che si rompono e lame che si affilano.

“Doll’s Paradise”, la nuova opera di Lucia Biagi per Eris Edizioni, è un fumetto che esplora proprio questi limiti, che ci accompagna oltre i confini tracciati dalla nostra psiche. E lo fa con un tono che abbraccia cinismo e paradosso, cruda dolcezza e violenza iperbolica. Il tratto di Lucia è volutamente cartoonistico, lontano da una ricerca del reale nelle immagini. E proprio per questo il sangue e i deliri, le ingiustizie e le vendette sembrano ancora più crude, perché rompono l’involucro perfetto e ovattato di una scatola confezionata con cura.

Nella sua narrazione l’autrice sembra percorrere il sentiero di Stephen King e della sua umanità strappata dal suo alveo naturale e gettata in sentieri cosparsi di sangue e dolore. Una favola al contrario che invece di concludersi con il classico “E vissero tutti felici e contenti”, si limita a constatare “E non vissero tutti”