Il secondo album di inediti di Irene Ghiotto, disponibile dal 25 ottobre, è un inno all’ascolto e all’ascoltare. I suoni sono concentrici, quanto la struttura dell’album stesso. Irene con Superfluo sembra voglia abbracciare il suo percorso artistico e personale in un grande cerchio fluorescente. Anzi Superfluo e quindi necessario. Come se stesse compiendo un giro su se stessa mentre racconta un po’ di noi e delle nostre piccole apocalissi
Irene Ghiotto e le sue cose
“Tutto quello che è superfluo, intanto non è inutile e se lo guardiamo bene, da un’angolazione che ci piace diventa fluo, perché basta spostare un accento e qualcosa di fluo è qualcosa di estremamente acceso, di caratterizzato. Quindi è necessario anche tutto ciò che non è necessario”.
E di questa condizione necessaria ed inviolabile è intriso l’intero album. Una ricerca solitaria che non lascia soli. Irene traduce, indaga, scava. Pezzo dopo pezzo svela la sua anima punk declinandola in profonde flessioni barocche e orchestre accordate e sontuose.
“Sono punk per due motivi, primo perché nel 2000 avevo sedici anni e questa è una cosa che anagraficamente ci determina. È dentro di me l’approccio a picchiare duro, sia nella musica che nella vita, sono punk perché per me il punk è l’approccio a fare uscire di getto, drammaticamente, tutta l’emozione gridata”.
Gridare o sussurrare per scardinare certezze o assecondare dubbi. Il suo disco è pieno di vita. E di definizioni. Definizioni di sé, dell’altro e della società. Definizioni di archetipi e stereotipi che, come in una profonda analisi psicologica, rischiarano il senso delle cose e le lasciano scivolare via.
Definizioni di felicità
La quarta di copertina di Superfluo è la pagina di un dizionario.
Alla voce Superfluo si legge Irene Ghiotto. Si definisce superflua, super-fluo. Un aggettivo delle sue 9 tracce. Una definizione che non ha nulla di personale, ma che tocca la necessità di sentirsi forte e necessaria nel suo essere artista e donna.
“Fino a che la categoria del femminile non smetterà di essere una categoria, sarà necessario convivere con la categoria. Utilizzarla per parlare con la voce viscerale e uterina del femminile, nella sua gioia sessuale, col suo temperamento costruttivo, forte della propria coscienza critica.”
Il singolo che ha anticipato l’uscita dell’album è “Assurdità” un pezzo che si apre a mille livelli di lettura e che allena all’ascolto dell’album e all’ascolto in senso lato. La capacità di combinare riflessioni delicate a un vestito armonico complesso e apparentemente leggero fa di questo pezzo un piccolo riassunto dell’intero album.
“Per me Assurdità è un po’ un manifesto di quello che il disco può raccontare, senza svelare completamente tutto quello che il disco è, per me è questo è quello che di getto è uscito, questo è il mio conato, prendetevelo! Mi piaceva questa cosa che fosse una specie di reggaeton-punk cantautorale italiano”.
Un brano complesso e stratificato, così come stratificata e complessa è Irene: “Sento a volte di avere una complessità che faccio fatica a far conoscere e quindi la semplificazione, che è come una coperta, non la metto perché ho paura della mia complessità”. Una coperta che, però, Irene stende su di noi, per riscaldarci, per coccolarci. Per farci scoprire che il super-fluo è sempre necessario.