I Blindur suonano un folk violento quanto il punk e delicato come una nenia che viaggia attraverso gli oceani. La band capitanata da Massimo De Vita sul palco alterna frammenti musicali sospesi ad esplosioni improvvise. “Amiamo gli eccessi, gli estremi e le zone grigie”.
Blindur: il potere intimo della musica
Un live esplosivo, fatti di sussurri, urla, silenzi e accompagnato da un violino che riesce ad essere lirico e lacerante. I Blindur, durante i loro concerti, spostano la distanza fra palco e pubblico fino ad eliminarla completamente. Fino a creare una “comunità di sentimenti”. “Siamo contenti quanto vediamo la gente piangere alla fine di un nostro concerto – spiega il cantante e chitarrista Massimo De Vita -. Quando riesci con una canzone ad entrare nella parte più intima delle persone, tanto da spingerla a commuoversi, che sia di gioia o di tristezza, questo vuol dire che la musica è riuscita nel suo intento”.
Una dichiarazione d’intenti che consente alla musica dei Blindur di travalicare ogni genere: il folk diventa punk per poi trasformarsi in canzone d’autore. E anche il palco si mescola e confonde con il pit: “Se potessi suonerei senza palco, in mezzo alla gente, perché credo la band e il pubblico siano parte intima di un rito collettivo – ci racconta Massimo a margine dell’esibizione tellurica della band durante “La tempesta su Marte” a Largo Venue -. Si tratta di uno scambio continuo e in questo momento storico di grande solitudine, di grande isolamento personale mi sembra quasi un miracolo. Abbiamo bisogno di creare connessioni, di compenetrarci”.
Il rumore come punto di partenza
I Blindur creano uno spazio musicale fatto di quiete sospensioni e deflagranti esplosioni. Di silenzi abbacinanti e di rumori assordanti. Di pieni e di vuoti. “Amiamo gli eccessi e gli estremi, le zone grigie che si insinuano fra gli spazi. Io credo nell’individuo in quanto tale, almeno quanto credo nella collettività. L’individuo ha quasi il dovere, se è un’artista, di far presente che c’è. Può farlo con un grande silenzio e può farlo con un casino da pazzi”.
Un casino che, durante i live, assume soprattutto le forme del violino di Carla Grimaldi. Le sue corde sono pizzicate, percosse, violentate ed accarezzate. “Il rumore è il suono che esprime con maggiore efficacia me stessa e le mie parti più profonde – ci spiega -. Se penso a me e alla musica, penso al rumore che produco quando suono, è una cosa molto intima. Io sono il rumore prodotto dal violino”.
Un caos che non è mai fine, ma che anzi può diventare inizio. “Il rumore è la partenza, cioè quel luogo dal quale puoi tirare fuori delle cose, sia emotivamente che da un punto di vista meramente musicale – prosegue Massimo -. Il rumore in quanto somma, in quanto sintesi o accavallamento di cose ti permette di affinare l’orecchio, aguzzare la vista e cercare di cogliere qualcosa”. Qualcosa che, come dicono in una loro canzone, può “essere invisibile agli occhi”.