“Infinite possibilità per esseri finiti” è un’equazione (o un enigma) la cui soluzione è la parola “vita”
(Giovanni Truppi)
Il minimalismo di Truppi è un minimalismo fittizio, la semplicità è semplificazione di sistemi metafisici,
“Infinite possibilità per esseri finiti”, il suo nuovo album, attraverso la poetica del correlativo oggettivo e la storia finita di un uomo, racconta la storia infinita dell’umanità. Dalla nascita fino alla morte, dall’Intro fino alla Fine, le parole di Truppi sono umane, vive, incandescenti.
Giovanni, come sempre, ha il potere di acciuffare i pensieri quotidiani più infimi di un uomo, dando loro il
soffio vitale che li trasforma in musica, in arte. È un flusso di coscienza ininterrotto, che dona spessore ai temi trattati nel disco. Così in “Moondrone”, in “Amarsi come i cani”, in “Camminare per via indipendenza un sabato sera ascoltando la nuova canzone dei fratelli Eno”, in “Fine” l’amore fusionale, simbiotico, travolgente e l’angoscia della separazione sono riportati ad una tiepida dimensione familiare, nella quale Truppi ci presenta sua moglie Chiara e sua figlia Lucia.
“Dalla nascita alla morte, che ne sono i segni più evidenti, a ogni passo dell’esistenza ci confrontiamo con la nostra finitudine: scegliamo, imbocchiamo sentieri, optiamo per una delle innumerevoli diramazioni del possibile, prendiamo posizioni” racconta Giovanni. Posizioni che emergono nell’Intro, in “Centocelle” e in “Infinite possibilità”, canzoni nelle quali l’impegno politico è inestricabile dalla filosofia, dall’amore e dall’interesse genuino verso il prossimo, dal desiderio primordiale e arcaico di comunità, quindi dalla sociologia urbana. L’impegno politico affonda le proprie radici nel riconoscimento del proprio privilegio in quanto uomo bianco, etero e benestante, che non ha mai dovuto lottare per la propria sopravvivenza.
“Le persone e le cose” è forse la traccia più emblematica ed efficace. Truppi recita una lista di nomi comuni di
mestieri che sfocia in una lista di oggetti, spiazzando l’ascoltatore che non è più in grado di distinguere gli uni dagli altri. “I nostri limiti non si esauriscono con la durata della vita: noi siamo costitutivamente finiti. Lo siamo perché non possiamo fare troppe cose nello stesso momento, trovarci in più luoghi insieme, e non possiamo nemmeno amare più di un limitato numero di persone – prosegue Giovanni -. Certo, per alcuni di noi la varietà delle scelte è più ampia e le risorse a disposizione sono maggiori, ma questo è solo un altro aspetto – sicuramente drammatico – della faccenda che non cambia il fatto che la regola sia la stessa per tutti. Questa è la condizione umana, anzi: questo è il modo in cui noi umani facciamo esperienza della vita e del mondo”.
Non sorprenderebbe se questo album venisse studiato tra mille anni dagli storici, come testimonianza di
un’epoca in cui la finitezza dell’uomo è messa a dura prova dalle infinite possibilità del Ventunesimo secolo.
Ma era davvero questo l’unico destino possibile per l’umanità? Era questo il regno dei cieli che aspettavamo?