Tutti in piedi per La Municipàl

“Finirà tutto quanto”. Un urlo che spezza il tempo e segna il passaggio tra un passato che sembrava ormai diventato la nuova normalità e un futuro troppo lontano da immaginare, tanto di assumere i tratti del sogno (o dell’incubo).

“Finirà tutto quanto”, come una liberazione da catene invisibili che ci soffocavano e (co)stringevano fino a rendere pericoloso il nostro respiro.

“Finirà tutto quanto” e la sensazione che (quasi) tutto sia finalmente finito, come quella che ha provato chi ha avuto la fortuna di assistere al concerto de La Municipàl a Largo Venue.

Il concerto della band guidata da Carmine Tundo, infatti, è stato uno dei primi in Italia nel quale il pubblico è finalmente potuto ritornare all’impiedi, nel quale sono cadute le barriere fisiche e psicologiche fra palco e parterre, fra spettatori e musicisti. Un ritorno a quella che era la normalità tanto abbacinante da essere doloroso e costringere a pensare a tutto quello che si è perso lungo la strada e a tutto quello di cui dobbiamo riappropriarci.

Anche Carmine e il gruppo erano quasi spiazzati da una meraviglia che sembrava ormai lontana. Occhi negli occhi, voci nelle voci e non più cori lontani e distanti e corpi inchiodati al pavimento da una sedia. Chi è stato a Largo Venue ha avuto la netta consapevolezza di essere “arrivato vivo al nuovo inverno”, di aver resistito fianco a fianco con chi aveva vicino ed avercela fatta.

E La Municipàl, attraverso le sue canzoni e le emozioni impossibili da nascondere, ha condotto il pubblico mano nella mano verso una luce, una fiamma nelle mani che non rappresenta più la fine ma un nuovo inizio.

Ed è impossibile, abbandonando ogni remora di superare i limiti della cronaca, non ringraziare Carmine e il suo stupore per averci ed avermi accompagnato in questo momento, per aver resistito al mio fianco e, per una volta, non avermi fatto sentire fuori posto alla ricerca di qualcosa che non c’è. Perché quel qualcosa a Largo Venue è ritornato ad esserci. E la sensazione appiccicata alla pelle, alle viscere e alle ossa dopo la fine dell’ultima nota è limpida e vivida, consapevole e finalmente libera: “Finisce qui la nostra guerra”.

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