The Purple line: la depixelizzazione del mondo di Thomas Hirschhorn

Un’immensa parete viola che ridefinisce lo spazio e costringe lo spettro ottico ad uno sforzo che si spinge oltre al territorio dell’ignoto. Iper-realtà, proto-realtà e realtà che si sovrappongono senza soluzione di continuità in uno scenario nel quale l’orrore terreno abbraccia la superficie rassicurante della pubblicità e, invertendo il ruolo delle parti ordinario, la nasconde, la sfoca fino a farla scomparire in una serie di pixel che appaiono quasi più disturbanti del sangue e delle viscere in primo piano. Uno smarrimento spaziale che diventa espressione del vuoto pneumatico di chi guardando le pareti smarrisce ogni prospettiva nota.

“The Purple Line”, l’immenso ciclo di 118 pixel-collage realizzato da Thomas Hirschhorn ed esposto al MAXXI di Roma dal 20 ottobre 2021 al 6 marzo 2022, è un’opera che ridefinisce lo stesso spazio museale attraverso una parte viola alta 6 metri e lunga oltre 250. Un labirinto fatto di vie d’uscita che ferisce e taglia lo spazio del museo progettato da Zaha Hadid, che costringe a serpeggiare senza soluzione di continuità fra l’orrore laccato e taciuto della pubblicità e quello iper-reale della morte che stavolta diventa protagonista, primo piano di una realtà che sullo sfondo è pixelata.

Thomas Hirschhorn: i pixel come atto politico

Nelle opere, infatti, si sovrappongono immagini di corpi straziati in zone di guerra, istantanee di stragi raccolte sul web e scatti pubblicitari di moda, provenienti da magazine patinati. Queste ultime, però, sono pixelate, restano in un piano ignote. L’artista opera così una sorta di censura al contrario, un controllo che per una volta colpisce l’immagine fatta per rassicurare e non comprende quella che invece strazia lo sguardo. Il pixel, in questo senso, diventa il mezzo ed il medium, lo strumento e la voce di connessione fra due realtà talmente contrapposte da essere sovrapponibili.

“Mettere o rimuovere ogni pixel – o addirittura scomporlo in pixel più piccoli – è una decisione. Una decisione politica”. spiega Thomas Hirschhorn.

E così i piccoli frammenti quadrati diventano un enorme manifesto con lo scopo di ferire un’ipersensibilità che diventa pretesto per la censura. Il pixel non protegge più chi guarda, non ha più valenza assolutoria.

“Oggi nei giornali, nelle riviste e in televisione non capita spesso di vedere immagini di corpi umani distrutti, perché è molto raro che vengano mostrate. Queste immagini sono non visibili ed invisibili, si presuppone che possano urtare la sensibilità dello spettatore, oppure soddisfare il suo voyeurismo, dunque il pretesto è di proteggerci da questa minaccia. Ma l’invisibilità non è innocente, è una strategia per supportare o quantomeno non scoraggiare lo sforzo bellico. Per rendere la guerra accettabile. Guardare immagini di corpi umani distrutti è un modo per schierarsi contro la guerra e contro la sua giustificazione e propaganda”.

E proprio quella linea viola, al tempo stesso attraente e disturbante, impedisce di distogliere lo sguardo dai collage, assume una valenza post-ideologica, nel quale ogni preconcetto viene azzerato, ogni precedente immagine viene ricostruita a partire dai contorni. Sfocature che consentono di mettere a fuoco la vera realtà. Opere r-esistenti non pacificatorie che cercano di ricostruire il mondo partendo dal suo caos.

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