Warrior Nun, la serie statunitense entrata subito nella top ten di Netflix a pochi giorni dalla sua uscita, è un’opera fruibile da una vastissima gamma di pubblico grazie ai diversi strati di lettura e ad elementi narrativi coniugati con coesione e talento
Cosa faresti se ti trovassi le sorti del mondo sulle spalle?
Girato tra le scenografiche chiese e i torridi paesaggi dell’Andalusia in viaggio tra Siviglia e Malaga, Warrior Nun è un adattamento televisivo del personaggio “Warrior Nun Areala” del fumettista Ben Dunn. Una serie sorprendente che è riuscita a coniugare una trama innovativa, personaggi memorabili e uno storytelling d’impatto. L’avvio della narrazione ci presenta la protagonista, Ava, che si ritrova a passare da adolescente paralizzata nel letto dell’orfanotrofio di un convento all’essere portatrice di un’aureola magica che le conferisce poteri sovrumani. Si ritrova circondata da una squadra di suore guerriere che la proteggono e le chiedono di unirsi a loro nei panni della prescelta che le guiderà nella lotta tra il bene e il male.
Pensate che Ava abbia accettato e si sia messa a combattere demoni per riscattare le sue sofferenze? Assolutamente no! Non ne vuole sapere di prendersi sulle spalle la responsabilità di salvare il mondo ed è difficile darle torto. In un attimo è impossibile non percepire vicinanza a una ragazza gravata dal peso delle aspettative che decide di scappare e vivere la sua vita da adolescente, libera di flirtare e fare quello che più le piace. Ava tornerà a combattere con le sue sorelle ma solo quando questa sarà una sua scelta.
La liberazione dall’archetipo come gabbia di aspettative
La serie offre livelli di lettura molteplici anche grazie al ruolo della madre superiora interpretata dall’attrice italo-canadese Sylvia De Fanti. Il suo personaggio consente di creare un ponte fra autorità e libertà, dottrina e sorellanza. Colei che archetipicamente è l’alleata più subdola del patriarcato e dell’ordine per via della posizione gerarchica acquisita diventa l’educatrice primaria delle sorelle guerriere attraverso la sua personale vulnerabilità e il suo coraggio.
È lei che ha il compito di scegliere le combattenti che faranno parte del gruppo di battaglia. Una scelta dettata da passione, lealtà, coraggio, maturità, forza emotiva e fisica. La liberazione del suo ruolo (e non il suo rovesciamento che altrimenti esisterebbe solo come opposto a quello mainstream) è un atto di rottura col passato che sarà sicuramente preso a modello per altre narrazioni.
“Per questo ruolo ho deciso di lavorare su una ferita primordiale. Un avvenimento traumatico in grado di muovermi per restare attaccata ad un’istituzione – ci racconta -. Questo lato vulnerabile è necessario per far emergere le crepe nei personaggi che si interpretano”.
Suore sorelle, femministe e queer
Netflix ha avuto una magnifica intuizione quando ha capito che in Warrior Nun i ruoli classici sarebbero stati rovesciati con una narrazione accessibile, sincera e reale.
Ava non si fa carico solo della missione ma aggiunge il suo dolore e la sua crescita personali all’equazione. Cambia le carte in tavola e prova a rompere il ciclo di oppressione che lei e le sue sorelle stanno subendo da generazioni. La connotazione femminista e queer dei personaggi è evidente e così genuina da essere offerta a chiunque voglia vederla.
Scoprire schemi nuovi, ribaltare gli archetipi e liberarli dalle costrizioni. Abbattere i dogmi della narrativa da schermo è uno degli esercizi più grandi e importanti di riappropriazione dei nostri spazi e dei nostri “idoli pop” che la nostra generazione (la generazione di chi scrive) possa avere tra le mani. Se prima avere una suora femminista sarebbe stato impossibile, adesso è accessibile su Netflix.
Testo di Donatella Gagliano